Di lustro in lustro

25 Giugno 2007

Me ne sono accorto quasi per caso: oggi ricorre il quinto anniversario del giorno della discussione della mia tesi di laurea. I lettori della Cuccia conoscono cosa quel momento abbia rappresentato nella mia vita: un pessimo ricordo di un pessimo giorno che concludeva un pessimo periodo. Si noti: non sono stati gli anni dell’Università quelli brutti; anzi, sono stati uno dei periodi migliori della mia vita. Il periodo brutto è quello testimoniato sulla Cuccia, dalla sua nascita (autunno 2001) all’estate che ha preceduto l’esperienza in India: problemi sul lavoro, problemi di cuore, problemi nella vita virtuale e problemi nel portare avanti la tesi. Si chiudeva un ciclo: i cinque anni dell’Università, ovviamente, ma anche il periodo delle comunità virtuali, delle chat prima e dei forum poi.

Se provo a scorrere indietro di un altro lustro, mi rendo conto di come i viaggi in giro per l’Italia per tentare i vari test di ammissione a Scienze della Comunicazione, datati estate 1997, all’atto della laurea mi sembravano lontani, ma tutto sommato facevano parte del mood che stavo ancora vivendo. Ora, quei caldi mesi di dieci anni fa, quelli compresi tra la maturità e prove di ammissione, sembrano un vago ricordo remoto: ma sono sempre io quello? Non oso spostarmi un ulteriore lustro indietro: si arriva all’esame delle scuole medie. Quindici anni fa, mezza vita fa.

Meglio tornare a pensare agli ultimi anni, che danno un senso di vertigine decisamente minore. Il 2002 della Laurea, ad esempio, può essere etichettato come l’anno di Auroville: è quella l’esperienza che ricordo meglio e con più affetto. Pochi mesi, ma di quelli che lasciano il segno: un’esperienza lavorativa intensa ma sfidante, un periodo di vita indimenticabile ed affascinante. Il 2003, invece, non può che essere l’anno dell’MBA a Torino: da notare che è l’unico anno in cui sulla Cuccia ci sono interi mesi senza post. Era l’anno della disintossicazione da Internet ed il Master in Business Administration riempiva meravigliosamente la mia vita.

Facile scorrere in avanti con la memoria: il 2004, ad esempio, diventa l’anno dell’esperienza del MEB a Nizza. I mesi trascorsi all’Edhec, d’altronde, sono stati una buona palestra di vita internazionale; per ora l’ultima, sob. Molto meglio dei mesi successivi, quelli del lavoro a Torino, che si possono tranquillamente dimenticare: tanta frustazione per la necessità di dover trovare nuovi clienti e nuovi lavori, ma soprattutto tante, troppe malattie. Meglio il 2005: l’esperienza a Roma e quella a Milano mi hanno permesso di iniziare tante nuove sfide professionali, ma sono state soprattutto l’occasione per valutare pregi (tutti a Roma?) e difetti (tutti a Milano?) delle grandi città che mi hanno ospitato.

Da inizio 2006 ad oggi, il tempo sembra essersi cristallizzato. Vivo ormai da un anno e mezzo a Bergamo e vi dovrei rimanere almeno sino a fine anno: alla fine saranno oltre due anni consecutivi nella stessa città, cosa che non accadeva appunto dai tempi di Padova. La differenza principale è che allora la mia vita sembrava cambiare continuamente scenario, ora potrei riscrivere un post di un anno fa ed essere solo più pessimista. Forse è anche per questo che ho deciso di farmi un regalo: ho aperto un tumblelog, su Tumblr. Si chiama Pollicinor (una battuta scema, lo so) e raccoglie un po’ di appunti che di tanto in tanto raccolgo navigando qui e là per il Web: così, tra un lustro, potrò ancora incuriorismi di ciò che mi incuriosisce ora. Sempre che sia ancora on line.

San Lorenzo, Antonio Tombolini e la gestione del (finto) precariato

19 Giugno 2007

Questo post, per me, rappresenta una profonda sofferenza. Perché devo necessariamente parlare, in termini negativi, di persone che stimo ma che hanno scritto brutte cose (quindi incide sul personale), di iniziative di e-commerce travolte nella polvere (quindi attiene ai temi professionali che mi sono cari da sempre) e di cattiva gestione di Risorse Umane (quindi è strettamente legato al mio attuale ambito lavorativo). Non è un articoletto che affronta la questione dal punto di vista del marketing (visto che altrimenti l’avrei pubblicato altrove), ma non è nemmeno “personale” come quelli di solito pubblicati sulla Cuccia. Sta qui perché non può stare altrove, ma è importante che ci stia.

Riassumo brevemente i fatti cui mi sto riferendo, riprendendo la lettera aperta che Luca Conti ha scritto alla Direzione della società coinvolta nel fattaccio:

«San Lorenzo avrebbe deciso di delocalizzare il suo call center italiano. A quanto scrive Il Secolo XIX sembrerebbe che verrebbero quindi licenziate 600 persone e che il tutto sarebbe scaturito da controlli dell’INPS, per i quali viene contestata a San Lorenzo una evasione contributiva di 10 milioni di euro.»

In queste poche parole viene riassunto il destino di 600 persone, di una società e dei suoi manager. La società in questione è San Lorenzo, l’azienda ligure che tramite vendita diretta (telefono, e-commerce, etc.) commercializza prodotti tipici italiani in tutto il mondo e che non dismetterà la propria attività: semplicemente, delocalizzerà la maggior parte delle sue operations in Romania.

Per gli internettari meno informati ma più sensibili: sì, si tratta proprio di quella San Lorenzo, quella del Social Club, di quell’azienda che grazie alla guida illuminata di Antonio Tombolini, si è creata un’immagine talmente positiva in tutta la blogosfera italiana da essere diventata una presenza attesa in tutti gli eventi organizzati dagli internettari italiani, BarCamp in primis. Nella maggior parte degli eventi tenuti sino ad ora, d’altra parte, San Lorenzo ha offerto un buffet composto dalle sue specialità, ottenendo inevitabili commenti positivi sui blog di tutti gli astanti. E pensare che tutto era iniziato con l’invio di un vasetto di pesto ai blogger italiani più influenti…

Proprio Antonio Tombolini, una decina di giorni fa, ha aperto il dibattito, con un intervento in cui, con estremo rancore, difende a spada tratta l’azienda ligure e le sue poco felici scelte manageriali. Chi conosce Mr. Simplicissimus, chi come me lo segue dai tempi di Esperya, fa fatica a riconoscerlo. L’istrionico ex-presidente dell’Azione Cattolica diventato dirigente del Partito Radicale, paladino dei diritti civili e fine intellettuale, diventa un rabbioso manager che cerca di difendere l’indifendibile. Che cerca di contro-denunciare le autorità che hanno colto l’azienda per la quale lavora con le mani in pasta. Che cerca di dimostrare che l’azienda in questione non poteva fare altro che chiudere in Italia ed aprire in Europa centrale. E peccato (parole testuali)

«che per un ultimo residuo di protezionismo non possono ancora venire a lavorare direttamente in Italia, cosa che potranno fare tra un paio d’anni»,

anche se verrebbe da chiedergli con chissà quale contratto, se e quando accadrà.

Ancora Luca Conti ha ospitato la risposta della direzione generale della società: lettera che fa riflettere ancora più della rabbia Tomboliniana. La signora Cardinale (o il suo ghostwriter) cerca di spiegarci che i dipendenti (anzi: le dipendenti, vista la quasi totalità di donne) ci tenevano ad essere precari:

«sono venditori, vogliono riconosciuto il merito»,

«riteniamo sia indispensabile la flessibilità di orario, sono gli stessi collaboratori che la chiedono»,

quindi il contratto a progetto andava benissimo. In Italia, d’altra parte, c’è il luogo comune per cui part time, orario flessibile, contratto di agenzia e contratto a progetto finiscono tutti nello stesso calderone di “lavoratori atipici”. E così le povere lavoratrici di San Lorenzo (600, sei-cento persone, non 10 o 100), indubbiamente propense a lavori tappabuchi-di-bilancio-familiare, sono finite nel calderone, rimanendone asfissiate. Nonostante di progettuale, nel loro lavoro, ci fosse ben poco.

I lettori della Cuccia sanno che ho poca o nulla simpatia per il lavoro a tempo indeterminato. Questo deriva dal mio percorso professionale: lavoro da sempre per progetti, ho sempre cercato di farmi pagare sulla base di progetti. Non è difficile sentirsi “atipici” quando lo si è davvero e per scelta: lavoro secondo i miei ritmi, non ho capi, vengo pagato in base ai risultati professionali. Ma se da anni sono seduto tutti i giorni davanti ad un PC con una cuffietta a vendere olio od allo sportello di una banca a contare i soldi, non sto vivendo alcun progetto: sono solo un dipendente cui vengono negati i diritti di base.

Quando ho fatto notare a Tombolini che nella pagina “Imperia, la sede storica” del sito ufficiale di San Lorenzo appariva questo testo

«Incontri, riunioni, e soprattutto il Customer Care, certo. È qui il cuore del rapporto tra San Lorenzo, i suoi produttori e i suoi clienti»,

il nostro ha risposto irosamente che una cosa è il call center di assistenza clienti, un altro il call center di vendita. Come dire: la differenza tra inbound ed outbound segna il destino della cuffietta a tempo indeterminato vs. il microfono disoccupato.

Mi dispiace che il lato oscuro della forza si sia impossessato del “nostro” Tombolini, di colui di cui scrivevamo nelle nostre tesi di laurea come massimo esempio positivo dell’e-commerce italiano. Rimarrà immutata la stima professionale nei suoi confronti conquistata in anni di duro lavoro, ma si è dissolta nel nulla la bella immagine che San Lorenzo, costruita in pochi mesi di gloria.

Hanno cercato di convincerci che per l’azienda imperiese sia stato un motivo d’orgoglio rinunciare ad una sanatoria fatta per evitare una multa da 10 milioni di Euro, ma non li si può che biasimare poiché, per risparmiare qualche migliaio di Euro di contributi, hanno evitato di assumere (almeno part time, non sia mai), le persone che per anni hanno preso in giro come pseudo-lavoratori a progetto. E questo detto da chi, i lavori a progetto, li fa per scelta.

Web 2.0 a fasi alterne

14 Giugno 2007

I lettori della Cuccia che dal 2004 ad oggi hanno seguito i miei giri per l’Italia, sanno che nel bene e nel male mi sono ormai adagiato a lavorare per il Grande Gruppo di Consulenza italiano che, nato con finalità strettamente informatiche, ormai contiene anche aziende come quella presso la quale lavoro io, che in realtà si occupa di consulenza strategica di alta direzione. In questa dualità sta il motivo per cui continuo a frequentare questa simpatica combriccola: seguo aspetti di business nel lavoro quotidiano, ma ho sempre la possibilità di confrontarmi con gli ottimi professionisti del Gruppo, che rappresentano una punta di diamante nella tecnologia italiana.

Il momento massimo in cui questo confronto può avvenire cade solitamente tra giugno e luglio, quando tutti i consulenti, gli sviluppatori, i creativi ed i tecnologi del Gruppo vengono invitati in un consesso in cui teoricamente bisognerebbe ascoltare i collaboratori che hanno esperienze e/o prospettive più brillanti. Peccato che, in realtà, gli interventi vengano assegnati con un vero e proprio Manuale Cencelli, in base al peso di ogni società e dei suoi manager, i quali diventano improvvisamente relatori di presentazioni preparate da terzi, delle quali conoscono poco o nulla. Gli autori delle presentazioni, invece, siedono in prima fila con la faccia imbronciata e sussultano diabolicamente ad ogni richiesta del pubblico cui il relatore di turno risponde con frasi evasive.

Quest’anno le cose sembrano andare in maniera diversa. Effettivamente nei mesi trascorsi dal consesso 2006 (tra l’altro su una sola sede, quindi con migliaia di persone presenti), il Gruppo ha preso una via ben chiara: tutte le attività pubbliche ed interne hanno iniziato a ruotare intorno al fantasmagorico concetto di Web 2.0. Persino i top manager delle aziende del Gruppo sono stati opportunamente evangelizzati sull’argomento da parte di santoni d’Oltreoceano nei loro incontri di condivisione: senza fuga per nessuna società (persino per quelli che si occupano di contabilità?), questo deve diventare il nuovo verbo del Gruppo.

Coerentemente con questa nuova ispirazione, il Gruppo ha aperto un blog pubblico, facendo tutti gli errori possibili: ad esempio, tutti gli interventi vengono pubblicati anonimi, un fatto abbastanza grave persino nel Web di 10 anni fa. Il blog viene aperto su WordPress.com ed aggiornato con ritmi sonnolenti, ma nessun collaboratore dell’azienda lo sa, visto che l’iniziativa non viene linkata da nessuna parte. Io lo scopro per caso in una delle mie solite notti in Rete e rimango leggermente perplesso. Dallo stile dei post, intuisco che tra gli autori c’è un dipendente di una società informatica del Gruppo, che ovviamente continua a mantenere il suo blog personale.

Passa qualche settimana ed ecco tornare di moda l’incontro annuale: nonostante il forum sull’Intranet dedicato a questo evento sia rimasto completamente vuoto (!) sin dall’apertura 6 mesi prima, i nostri amici ci riprovano. Aprono un blog dedicato all’evento su un server inconfutabilmente dedicato ai blog del Gruppo (ma allora sorge il dubbio del perché quello ufficiale lo abbiano aperto su WordPress.com): chiunque ha qualcosa da raccontare al prossimo incontro annuale (stavolta diviso su due sedi), può lasciare un commento su uno dei post dedicati ai macrotemi individuati dal top management.

Rimugino un po’ di giorni ed alla data di scadenza del call for proposal mi lancio in un commento ispirato, proprio nel post dedicato al Web 2.0 (gli altri erano di carattere più tecnico): proverò a condividere un po’ di idee su come applicare questo framework teorico a banche, assicurazioni e soggetti finance vari. Cerco di essere chiaro, eventualmente un po’ troppo esaltato (tanto per adeguarmi al clima del Gruppo sul tema), ma oggettivo. Passa qualche ora, e degli anonimi (ci risiamo) mi forwardano l’e-mail di approvazione generata da WordPress, promettendomi che prenderanno in seria considerazione la proposta. Il mio commento effettivamente rimane in attesa di moderazione, quindi sono l’unico che può continuare a vederlo.

Riprovo nei giorni successivi ad accedere al server dei blog, ma spesso l’accesso viene rifiutato. Quando finalmente ci riesco, scopro che il commento è stato cancellato. Ci rimango un po’ male, visto che il feedback promesso non c’è stato ed i 3-4 interventi proposti nei vari topic sono dello stesso grado di approfondimento. Fa nulla: appena vedrò i top manager della mia società, comunque, mi riprometto di parlare con loro del trattamento ricevuto. Senza rabbia, ma con tanta perplessità su queste mani lunghe che agiscono nell’ombra: alla faccia del knowledge sharing e delle altre belle parole spese a proposito di Web 2.0.

Ieri ricevo una chiamata allarmate di uno dei top manager di cui sopra: mi rimprovera bonariamente di aver inserito una proposta di intervento senza averlo avvisato. Colgo l’occasione per girare a lui ed al suo socio il mio abstract, ma non scrivo nulla sull’esito, visto che nessuna comunicazione ufficiale ho ricevuto. Confermo l’idea di parlargliene dal vivo ed effettivamente oggi quest’occasione arriva.

Il partner in questione arriva a Bergamo trafelato, raccontandomi che la figlia (…) del Presidente del Gruppo sta seguendo direttamente l’organizzazione dell’evento ed è stata proprio lei a segnalargli il mio intervento sul blog, in seguito al rifiuto del partner stesso di presentare noiosi interventi tecnico-informatici (campo di cui noi sappiamo decisamente poco). Il partner coglie la palla al balzo sapendo l’interesse della sacra famiglia dirigenziale per ‘sto maledetto Web 2.0 e così recupera il commento che gli ho spedito via e-mail, lo tagliuzza, vi aggiunge qualche riga in più, modifica il titolo e poi lo rimanda indietro al super-empireo manageriale del Gruppo come proposta della società in base al Cencelli di Gruppo.

Alla fine di tutta questa girandola, ora sono in attesa di una comunicazione, stavolta spero veramente ufficiale, per capire se preparare o meno la presentazione in questione. La quale so già verrà ampiamente rimaneggiata dai miei amici dirigenti della società, che ovviamente diventeranno co-relatori su un argomento che non conoscono nemmeno di striscio. Il mio commento ormai è andato perso ed una sua versione edulcorata potrebbe diventare la panacea alla scarsità di spunti di un’intera società, incapace di narrare persino alle società gemelle cosa sa fare. Se e quando l’intervento verrà tenuto, ovviamente vi racconterò la seconda parte di questa storia…

Cose difficili da credere

3 Giugno 2007

Il logo delle manifestazione 'Expo Show' di Confindustria Bergamo vs. il logo di Second LifeChe noialtri blogger si abbia una versione distorta del mondo è un dato di fatto, più che un’ipotesi di studio. Eppure, è una mia impressione o il logo della manifestazione “Expo Show”, che è l’iniziativa ufficiale della Confindustria di Bergamo per festeggiare il proprio centenario, visibile a destra, è tendenzialmente un’imitazione di quello di Second Life, visibile a sinistra? Sarò malizioso, ma immagino l’agenzia fornitrice durante il meeting di presentazione della creatività: “Guardate che bel logo, moderno… Piacerà ai giovani, eh!”… Poi è pur vero che non c’è mai niente di nuovo: però un minimo di creatività in più, per un’occasione tanto rilevante a livello locale, non sarebbe stata male. Trovo difficile che si tratti di una coincidenza.

Altra cosa che faccio fatica a comprendere è il senso della pulizia delle signore che ogni mercoledì si dedicano alla pulizia di casa mia. Per mesi, abitando nella casetta Ikea, ogni settimana tornavo a casa e trovavo qualche danno: mobili rovinati, ad esempio. Ed ogni settimana mi trovavo il tappetino del lavandino sporco dentro la vasca porta-panni puliti post-lavatrice. Io sarò sicuramente un po’ pazzo, ma ora che vivo nella casa Ikea raddoppiata (di fronte alla precedente, ma bilocale), non solo continuo a trovare il tappetino ovunque, ma anche chicche come il groviglio dei cavi caricatore PC & caricatore cellulare & caricatore hard disk esterno & cavettistica di collegamento varia sopra il cuscino (?) pulito, oppure il pigiama sopra la valigia (!), per sua definizione sporca. Continuano a rubarmi le caramelle (…) e passi, ma queste genialate le fanno per dispetto o proprio perché non hanno senso della pulizia?

L’incredulità del week-end invece è legata ad aNobii: sicuramente si tratta di uno dei social network più carini degli ultimi tempi ed è il sogno di ogni bibliofilo che si rispetti. Categoria di cui mi sono sempre sentito parte, fino al momento in cui, a causa della saturazione quasi totale del mio tempo col lavoro, mi sono reso conto di leggere veramente poco o nulla. Quel briciolo di tempo libero che ho (a notte fonda, ovviamente), lo dedico alla Rete, che notoriamente richiede tempo e dedizione: eppure, gli altri blogger dimostrano di essere grandi lettori. Mi domando come facciano: gente che lavora, scrive decine di post alla settimana, è attivissima ovunque in Rete e partecipa anche agli eventi “live” che vanno di moda in questi mesi. Io mi sento sempre più un verme, così metto su aNobii solo i libri del mio passato che mi sono rimasti in mente: un criterio simile a quanto fatto con La radio di ex-xxcz, visto che il meccanismo di ricerca per serendipity è analogo. Chissà che un giorno non ritrovi un po’ di tempo per ricominciare a leggere: nel frattempo sono incredulo per tutti i super-uomini e le super-donne che mi circondano on line.

Ultima cosa che ha sollevato la mia incredulità nella settimana che si sta concludendo, il fatto che per la prima volta nella mia vita sono ufficialmente un dipendente a tempo indeterminato. Ho sottoscritto il contratto, ho fatto la visita medica, ho inviato la foto per la produzione del badge, ho ottenuto i buoni pasto. Conoscete la mia idiosincrasia per i vincoli a lungo termine: ho ceduto vista la prospettiva di terminare la collaborazione con questa realtà, ma ovviamente sono già ad osservare l’andamento del vento. Questo NON sarà un lavoro a tempo indeterminato: e questa è la cosa meno difficile da credere.