Riunioni, e-mail e fogli Excel

20 Settembre 2007

Visto che già definire i contorni della vita da consulente è un’impresa di per sé, quando qualcuno mi chiede come passo le giornate in questi mesi, rispondo che passo il tempo a fare riunioni, inviare e-mail e scartabellare fogli Excel. In un certo senso, invidio i miei colleghi consulenti che si occupano di programmazione o analisi tecnico-funzionale: hanno ritmi di lavoro più leggeri, ma soprattutto hanno obiettivi chiari. Per quanto mi riguarda, l’obiettivo me lo devo dare da solo ogni mattina e sperare di essere riuscito a conseguirlo entro la sera (o la notte), avendo supportato il Cliente nelle sue decisioni sul futuro professionale (ma anche umano) di qualche decina di migliaia di persone.

Il problema di svolgere questo tipo di lavori in un mondo in così rapida evoluzione è che bisogna sempre riuscire a capire prima cosa si sta muovendo intorno a sé (ed intorno al Cliente); per farlo davvero e con successo, l’unica condizione indispendabile è concentrarsi, con la mente riposata ed un bel silenzio intorno. Condizioni che, per quanto mi riguarda, sono del tutto irrealistiche: da un lato dormo poco e male, dall’altro passo le mie giornate dal Cliente (cioè il 99% di quelle lavorative più qualcuna nei week-end) in un terribile open space, con un rumore di fondo surreale e persone che parlano a destra e manca. La cosa incredibile è che si tratta dell’Area Risorse Umane di una delle più grandi aziende italiane e che anche gli altri uffici delle direzioni centrali hanno una condizione simile: non si lavorerebbe meglio in un ambiente di lavoro più silenzioso?

Ammesso e non concesso che ci si riesca a concentrare, spunterà sempre una riunione a interrompere il flusso di lavoro. Tornano in mente le riunioni di Romagnoli: esseri abnormi che si creano mano a mano e poi ad un certo punto diventano il fine ultimo del lavoro stesso. In taluni frangenti, infatti, ci si rende conto che non si producono documenti e fogli di calcolo per capire i fenomeni oggetto di analisi: si producono documenti e fogli di calcolo perché devono essere tracce di discussioni per infinite riunioni, propedeutiche ad altre riunioni di livello magari più alto. Anche molte delle e-mail, in un turbinio di risposte a risposte a risposte a risposte, servono per fissare riunioni, commentare riunioni, verbalizzare riunioni, condividere documenti da discutere durante le riunioni.

A volte si ha un po’ la nausea e così si ripensa alla battuta più celebre di Mr. Samuel Bicke: «Slavery never really ended in this country. It just gave it another name. Employee». La verità è che un consulente è sempre un Arlecchino servitore di due padroni, Goldoni permettendo: può anche stare bene nella sua aziendina, ma dovrà sorbirsi i problemi del Cliente; al contrario, può essere felice di passare il tempo presso gli uffici di quest’ultimo, ma poi dover subire lo stress proveniente dalla società di appartenenza. E se è davvero bravo, meglio che stia attento: i percorsi di carriera, al giorno d’oggi, sono molto meno scontati di quanto lo fossero un tempo…

La saga infinita del setto nasale deviato

11 Settembre 2007

C’è un aspetto del mio fisico che, oltre ad essere visibilmente brutto (il che sarebbe anche coerente col resto, quindi non mi preoccupa granché, sigh), mi ha creato problemi a ripetizione, sin dall’infanzia: è il mio naso. L’oggetto più inutile del mio corpo non solo occupa metà del mio viso, ma soprattutto non ha mai funzionato: non ho la minima idea di cosa voglia dire respirare col naso, visto che il 95% del tempo lo passo con la bocca aperta a boccheggiare (immagino che il 5% sia il tempo speso durante i pranzi, quando per evitare di strozzarmi mentre ingerisco devo accontentarmi del filino d’aria che entra nel naso).

La cosa peggiore è che, da sempre, il setto nasale deviato in maniera così forte mi ha creato problemi di salute diversi e complessi: una voce fastidiosissima, delle ghiandole infiammate e dei raffreddori costanti, persino dei problemi in aereo, ma soprattutto delle vere e proprie disperazioni notturne. Come diceva una mia ex, di notte non russo, “annaspo”: boccheggio e dormo malissimo, chiari sintomi di sindrome delle apnee del sonno

«Il sonno del paziente è caratterizzato da frequenti risvegli, da agitazione, da continui cambiamenti di posizione, da forte e violento russamento interrotto da fasi di silenzio (apnee) in cui il soggetto non riesce a respirare, seguite da rantoli e boccheggiamenti.
Al mattino, chi ne soffre, si sveglia affaticato, spesso afflitto da mal di testa e durante la giornata manifesta marcata stanchezza.
Il paziente tende ad addormentarsi frequentemente e facilmente anche durante le proprie occupazioni o alla guida dell’auto.
Possono manifestarsi anche difficoltà di concentrazione, vertigini, irritabilità, perdita di memoria, ansietà o depressione, diminuzione degli impulsi sessuali.»

Al mattino, mi sveglio con la bocca secchissima e nauseabonda, nonostante tutti gli umidificatori che possa tenere in camera da letto; inutile dire che ho la stragrande maggioranza dei sintomi sopra descritti (uhm, forse toglierei le vertigini), soprattutto quelli legati al senso di affaticamento cronico durante il giorno. Tutto ciò ha condizionato molto la mia vita: a me, ad esempio, piace(rebbe) l’atto stesso del dormire, ma farlo in questo contesto è tutto tranne che riposante; non sono mai riuscito a fare attività fisica, perché bastano 100 metri di corsa per sentirmi male male male, dovendo boccheggiare tutto il tempo ed ancor più nel momento in cui mi fermo.

La soluzione a tutto ciò la scoprii quasi 10 anni fa (gulp), nei primi tempi a Padova: sbattendomi in faccia un “doveva farlo da bambino”, un otorinolaringoiatra del noto Ospedale mi suggerì l’urgenza (…) di provvedere ad un’operazione di riallineamento nel setto, con eventuale (eventuale?) rinoplastica dopo l’operazione strettamente chirurgica. Peccato che, non avendo mai subito un’operazione in vita mia, ho sempre declinato l’invito: come scrivo spesso sulla Cuccia il dolore fisico è la mia paura più grande ed il decorso dell’operazione, in particolare, si preannuncia difficile e doloroso.

L’aver vissuto da solo negli ultimi 10 anni ha fatto sì che mi mancasse sempre una persona a sostenermi dal punto di vista psicologico oltre che ovviamente logistico prima, durante e dopo l’operazione. L’essere stato per tanti anni un libero professionista pagato a giornate, mi ha sempre fatto temere che assenze lunghe per motivi di salute non sarebbero state troppo ben viste dai miei clienti/datori di lavoro. Il non aver più avuto una copertura sanitaria di base dal 2004 ad oggi, mi ha sempre fermato anche solo dall’iniziare i pre-accertamenti. Ora questi fattori stanno evolvendo in maniera positiva, ma la mia salute va sempre peggio. Che faccio, inizio a pensare all’operazione?

La strana storia degli pseudo-morosi

2 Settembre 2007

Devo dire che, dopo il famigerato post su trentenni & storie d’amore e le relative discussioni (private) che ne sono scaturite, non ho più raccontato di storie altrui. Questa però merita ed ho chiesto consenso esplicito al protagonista maschile: non ho chiamato il post “storie di ventenni” perché riguarda una sola coppia, ma la ritengo significativa di un mondo che cambia, in termini di sentimenti e definizioni sociali. In ogni caso, si tratta di una storia di carattere decisamente più positivo di quelle raccontate quasi un anno fa. Chissà che la prossima generazione di trentenni sia più matura della precedente.

Il mio racconto inizia nei corridoi della Banca: vedo C., non ancora trenta anni ma di certo da un pezzo abbondantemente oltre i venti, che digita furiosamente SMS. Digita, digita, digita, digita. Butto lì: «Ma tu non eri quello che odiava gli SMS?» e lui, con una smorfia di dolore quasi fisico, dice «Eeeeh, mi sta venendo il tunnel carpale se continuo così!». Ridacchiamo insieme e torno alla mia scrivania. L’episodio mi torna in mente qualche giorno dopo quando incontro C. per strada con una faccia vistosamente ebete. Facciamo un pezzo di strada verso la Banca insieme e così, pungolandolo per quanto possibile visto il rapporto tutto sommato formale che ci lega, riesco ad estorcergli qualche dettaglio.

C. è un fiume in piena. In 5 minuti pronuncia 97.302 parole per spiegarmi il perché degli SMS chilometrici (cosa di per sé surreale, ma soprassediamo) e della faccia ebete: è innamorato. Si tratta, a sentire la sua descrizione, di una specie di donna perfetta: intelligente, carina, sexy, affettuosa e via elencando una serie improbabile di aggettivi di carattere decisamente positivo. Mi accenna all’inizio della loro storia: si sono conosciuti via Internet, poi sono passati al telefono ed agli incontri dal vivo. Io a sentirlo ho un momento di tristezza ripensando a Monfiana, ma questa è un’altra storia di ventenni.

Fin qui, bisogna dire, nulla di speciale: di coppie su Internet ne nascono tante ed effettivamente C. ha ragione, sono coppie fortunate, perché si conoscono prima in quanto persone e poi (eventualmente) per il loro aspetto fisico. La storia però ha un colpo di scena: quando chiedo a C. come si chiama la sua nuova fidanzata, C. rimane interdetto e ci tiene a precisare «E. NON è la mia fidanzata: è la mia pseudo-morosa». Rimango interdetto a mia volta, sorrido e chiedo chiarimenti: C. diventa serio e prova a definire il rapporto; non ci riesce in pieno, ma offre spunti interessanti…

La tesi di C. (e di E., immagino) è che il loro rapporto trascenda le etichette sociali. Che loro stanno bene così, che vogliono crescere insieme ed imparare a conoscere le cose della vita quotidiana senza aspettare che la società riconosca il loro status di “fidanzati”. Che in questo momento E. non lo angoscia con richieste pressanti di matrimonio (fortunato lui ), ma solo con un accordo esplicito: rispettarsi fino alla fine dei giorni, non tradendo la fiducia reciproca ed il sentimento che sta rapidamente crescendo tra loro. Li ho decisamente invidiati: saranno anche ventenni, ma dimostrano una maturità ed un’intensità di sentimenti che vorrei vivere io tra dieci, venti, cinquanta anni.