Un'immagine degli scontri a PianuraSento gli echi degli eventi di Napoli e mi sento male. Ascolto storie di autobus incendiati, di cassonetti da cui si innalzano nauseabonde nuvole nere e non capisco cosa abbiano in testa coloro che creano queste situazioni deliranti, questi scenari di guerra urbana ogni giorno più intensi. Tutti tirano fuori il paragone con le banlieues parigine, molti intravvedono in questi gesti folli la mano lunga della Camorra. Anche in Rete si condividono analisi lucide come quella dell’arcinoto Roberto Saviano, che mostrano il lato oscuro della raccolta dell’immondizia: non più e non solo tema di confronto tra ambientalisti, quanto terreno di conquista da parte di affaristi senza troppi scrupoli. Voci tristemente affidabili, che si vorrebbe smentire ma di cui purtroppo non ci si può non fidare: persone che sono cresciute in quelle terre e che sono dovute scappare prima di vedere la propria vita perdersi tra i rivoli della criminalità o improvvisamente terminata per colpa di un qualsivoglia cancro legato all’aria ed al terreno stra-inquinati.
È il caso di Eduardo, ottimo professional ICT e nobile creatore di poesie, che è nato e cresciuto a Pianura, il quartiere di Napoli oggetto principale delle cronache di questi giorni. Merita una citazione la sua descrizione delle origini e dell’evoluzione storica di Pianura

«Fino ai primi del novecento Pianura continuò ad essere un tranquillo centro agricolo di poche migliaia di abitanti, tra cui i miei nonni materni, gente lavoratrice e di poche pretese, poveri ma felici. Nel 1926 Pianura, fino ad allora indipendente, entrò a far parte del comune di Napoli. La moderna Pianura si iniziò a sviluppare verso la metà degli anni ’50. Una prima ondata migratoria verso il quartiere ci fu negli anni ’60 in concomitanza con il boom delle acciaierie Italsider di Bagnoli, da lì poco lontana. Pianura divenne così meta abitativa di tante famiglie di onesti operai provenienti da tutta la città. Negli anni seguenti una manica di improvvisati costruttori edilizi, fiutato l’affare del mattone, iniziarono a costruire in maniera selvaggia ed abusiva. Nel giro di pochi anni, grazie agli investimenti del “sistema” ed alla connivenza di panciuti politici (che neanche a dirlo spesso erano gli stessi costruttori senza scrupoli) Pianura divenne un enorme agglomerato di casermoni di 7-8 piani costruiti senza alcun standard abitativo e senza alcun piano regolatore. Oramai chiunque avesse qualche metro di terreno e qualche spicciolo a disposizione tirava su nel giro di pochi giorni un fabbricato, senza avere alcuna licenza,  senza nessun controllo e senza nessun tipo di opposizione da parte dello Stato o di chicchessia. Il meccanismo era semplice: visto che spesso non c’erano i soldi per pagare i maestri muratori (architetti e geometri neanche a parlarne) ad ognuno di loro a fine lavori veniva dato in cambio un appartamento. In pochi anni semplici idraulici, elettricisti, muratori divennero proprietari di numerosi immobili. Agli inizi degli anni ’80 non era inusuale vedere circolare a Pianura Porsche e Ferrari, anzi. Mio malgrado mi ritrovai a studiare il mio quartiere durante l’università sui testi di urbanistica, Pianura veniva citata come quartiere d’Europa con la più alta densità di costruzioni abusive: l’89% del totale. Agli inizi degli anni ’90 Pianura si ritrovò dai 10.000 abitanti degli anni 50, ad essere il quartiere più popoloso di Napoli con circa 100.000 abitanti. La seconda mazzata per il quartiere arrivò col terremoto del 1981. Il sito indicato dove costruire i famosi “villaggi terremotati” fu proprio Pianura. Migliaia di sfollati del centro storico di Napoli furono trasferiti nel già disastrato quartiere. Arrivò di tutto.»

Dalle righe di Eduardo si capisce l’evoluzione storica della sua terra, lo stato di abbandono che generazioni di politici conniventi hanno contribuito a creare e a non sanare. Una situazione creata soprattutto da una fascia di persone, non facilmente inquadrabili come camorristi né come politici (ma non impermeabili alle due categorie), che ha colto le difficoltà della propria terra volgendole in interessi personali (vedi le storie raccontate da Saviano nell’articolo citato sopra). Persone che hanno creato ulteriori problemi alla propria terra, situazioni cui la classe politica non ha saputo rispondere: su questo punto è Dario Salvelli, altro blogger campano particolarmente sensibile al tema, che spiega cos’è successo…

«Chi ha davvero ascoltato (per mera convenienza s’intende) le esigenze ed i problemi delle persone è stata la camorra, un nuovo stato, una nuova, furba e forte economia capace prima di “essere” e poi di costruire una nuova cultura e speranza, tanto forte da trasformare lo smaltimento dell’immondizia in un business miliardario e potente. Quando ci sono grossi interessi economici non v’è senso civico che tenga; si è in grado addirittura di non salvaguardare la propria pelle e salute mettendo a repentaglio anche quella dei propri cari.»

Come ha scritto Raffaele La Capria, non si capisce come si sia potuti arrivare a questa situazione, nell’incuranza collettiva.  E rimane il dubbio di chi sia oggi intento ad incendiare i cassonetti. Sono davvero i camorristi, come i telegiornali continuano a supporre in ogni servizio? O i mandanti sono i protagonisti di quella classe affaristica-cuscinetto di cui parla Saviano? Oppure alla fine sono i semplici cittadini, esausti a causa della situazione che ogni inverno si ripresenta? E se la situazione fosse creata da un misto di folli provenienti da tutte le categorie in questione, desiderosi di lanciare un segnale forte allo Stato? L’esasperazione, d’altra parte, può portare a provocazioni forti come quella di Lia

«Possono spiegarmelo fino a domani, il perché e il per come di ciò che sta accadendo a Napoli, ma è inutile. Non mi possono convincere, non esiste giustificazione, non esiste attenuante: è una città, non è altro. E una media città europea deve, ma proprio deve, essere in grado di gestire la propria immondizia. Che la chiudano, altrimenti. Che la bombardino. Che la dichiarino incapace di badare a se stessa, che la facciano interdire. Rinchiudetela da qualche parte, come si fa coi pazzi, e buttate la chiave. Bagdad aveva più dignità e l’abbiamo distrutta, e non mi pare che il mondo si stia strappando i capelli sulle sue rovine. Be’: se invece di andare in giro a esportare la democrazia, andassimo a Napoli a esportare la capacità di buttare il pattume, io non avrei nulla da obiettare. Nemmeno se lo si facesse coi cacciabombardieri. Anzi.»

Il Governo nazionale ha promesso soluzioni drastiche: tutta Italia (e non solo) a questo punto attende con ansia di sapere quale sarà l’esito della vicenda. Sono passati pochi mesi dall’ultima emergenza e nulla è cambiato nel frattempo: anche questa volta però la soluzione sembra strettamente burocratica, quindi probabilmente ci ritroveremo a Capodanno 2009 ad osservare un altro quartiere di Napoli o un’altra provincia campana ardere e morire lentamente di cancro. Non serve un altro Commissario, con buona pace di De Gennaro: serve decidere una volta per tutti dove far trattare ‘sti benedetti rifiuti, come avviene in tutto il resto d’Italia. Ed iniziare a pulire gli obbrobri creati in questi anni: anche i cittadini campani, però, devono imparare a fare la loro parte, nella vita quotidiana e dentro le cabine elettorali.



2 Comments to “Pianura, politica avariata e spazzatura”

  1. PerDiletto | Gennaio 9th, 2008 at 22:21

    Quanta tristezza in questa vicenda. Difficilmente commentabile… Ma non posso non unirmi a questo tuo post di denuncia.

  2. Jessica - Settimo Potere | Febbraio 14th, 2008 at 01:47

    A proposito del problema dei rifiuti a Napoli, ti consiglio di leggere questo articolo trovato in rete, è molto interessante. Parla della storia della discarica di Contrada Pisani e del suo scempio…
    A presto!

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