Gravidanze (poco) low cost e adolescenti spendaccioni
21 Marzo 2008Premessa ovvia per molti lettori, ma necessaria per gli altri: non ho figli, non ne aspetto né ne prevedo nel giro di diversi anni. Non perchè rientro nel canone del giovane-che-si-lamenta-di-non-poter-metter-su-famiglia-ché-i-figli-costano-tanto-al-giorno-d’oggi; piuttosto, al momento non penso di poter offrire un padre maturo a dei pargoli che già immagino insonni ad aspettare un tizio che passa 16 ore al giorno fuori casa. Al di là di questo aspetto strettamente personale, però, l’aver discusso animatamente (!) del tema “bimbi e denaro” con un amico qualche giorno fa, mi ha fatto un po’ riflettere in questi giorni sul rapporto che futuri genitori, neo-genitori e genitori di bimbi/adolescenti hanno con i soldi spesi/da spendere a favore della crescita dei propri figli.
Il punto della discussione verteva sul tema degli adolescenti “spendaccioni”, con tanto di lamentele del mio interlocutore della serie «Ai miei tempi le cose erano diverse» (per la cronaca, frase pronunciata da un 27enne). La mia teoria, elaborata a voce in nuce e rimuginata un po’ in questi giorni, è che in realtà non siano i ragazzi a spendere & spandere (anche perché senza reddito), quanto i relativi genitori che hanno un rapporto “particolare” con il denaro speso per loro, da prima ancora che vengano al mondo. Posizione che deriva da osservazioni del tutto empiriche ma che, da bravo tacchino induttivista, mi spingono a farmi una teoria, auto-confutarmela e auto-confermarmela, in attesa di tradurla in azioni pratiche.
Quante future mamme avete conosciuto che si nutrono di carne dell’hard discount (urgh) e poi acquistano la costosissima acqua-minerale-apposta-per-i-neonati esclusivamente in un certo luogo, tipicamente negozietto iper-specializzato in materiali per l’infanzia? Quanti futuri papà specificano che il “marsupio” (col quale già si vedono a portare il proprio bebé a tracolla) chiesto in regalo agli amici debba essere a forza della tal marca e acquistato nel posto più caro del mondo? Quanti neo-genitori scorazzano per il centro città al fine di comprare la carrozzina Chicco alla Chicco invece di andare all’Auchan e comprare la stessa (identica) carrozzina Chicco? Quanti nonni si precipitano in farmacia a comprare le pappette invece di comprarle (identiche) al supermercato?
Quando si fa notare l’irrazionalità di questi comportamenti, i familiari del nascituro/neonato si imbufaliscono: per qualche imperscrutabile motivo, arrivano a dire che i biscotti Plasmon comprati nel negozio specializzato sono più buoni (sentito con le mie orecchie) di quelli comprati al Carrefour. Solo una parte di genitori smart inizia ad accettare un compromesso: invece di andare a fare acquisti folli dall’ex-levatrice convertitasi in negoziante di gingilli per l’infanzia, i primi eroi vanno a comprare da IperBimbo, che a dispetto del nome non è un ipermercato, ma è comunque una catena di negozi specializzati di grandi dimensioni. I prezzi non sono quelli sensati di un vero ipermercato, ma non sono nemmeno quelli surreali dei punti vendita più illustri.
In un certo senso capisco il pensiero dei genitori: vogliono “il meglio” per i loro cuccioli. Ottimo pensiero, ovviamente condiviso. Molto meno condiviso, invece, il metodo per estrinsecarlo: mi sfugge il senso di non voler?fare scorta dei pannolini in offerta all’ipermercato ed aspettare invece di comprarli alla prima visita utile al negozio bimbofilo di turno. Capisco già di più il tema abbigliamento, visto che immagino che tra il comprare le tutine in cotone (quelle che si cambiano 10 volte al giorno, per intenderci) all’ipermercato in questione e il comprarle da Chicco passi esattamente lo stesso pensiero riservato agli abiti per adulti: i reparti abbigliamento degli ipermercati non sono per nulla glamour e il tema cotone-sulla-pelle-del-neonato sconsiglia acquisti “sperimentali”.
Esaurito il periodo della gravidanza e dell’infanzia con questo stile, immagino che nelle fasi successive i genitori debbano correre ai ripari dal punto di vista economico e cerchino di prendersi cura dei propri figli facendo per loro sacrifici a tutti i livelli: molti di noi hanno ben presente l’immagine del genitore che salta il pranzo per risparmiare e poi elargisce ricariche telefoniche a iosa al proprio figlio pre-adolescente tele-controllato. Non è questione di “viziare” i figli e nemmeno di formarli come “spendaccioni” come sosteneva il mio interlocutore bergamasco: si tratta della naturale evoluzione di un atteggiamento che estrinseca in valore monetario (ed in acquisti) l’enorme affetto che un qualsivoglia genitore non può non avere verso i propri figli.
Facile intuire quale sia la mia posizione finale sull’argomento: la necessità di un equilibrio costante. Se si ha un budget risicato, non è necessario comprare il prosciutto per la mamma alla Lidl e l’omogeneizzato per il figlio in farmacia: ha senso mantenere un percorso sensato ed una qualità della vita uniforme. Non sono il vate degli ipermercati, ma penso che i polifosfati di un insaccato di bassa qualità siano dannosi per una donna incinta molto di più di un passeggino blu comprato in centro non grigio come il gemello dell’ipermercato, che per ovvi motivi ha stock e scelta di modelli inferiori. Scegliamo un alto standard adeguato alle nostre capacità e inseguiamolo: gli alti e i bassi saranno comunque dannosi, per noi o i nostri figli.