Il Lounge Café San Biagio di Parma? Mah…

24 Maggio 2009

Parma: ore 13 e 30 di un giorno lavorativo di qualche settimana fa. Ho un appuntamento dal Cliente che mi segnala il Centro Commerciale Barilla Center come punto di riferimento. Sono un po’ sorpreso da questa indicazione, ma una volta arrivato sul posto intravvedo in effetti davanti al celebre Grand Hotel De La Ville (anch’esso parte del complesso di cui sopra), una delle mille sedi del Cliente, sparse sul territorio della città emiliana. L’appuntamento è alle 14 e 30 e, complice la sveglia col buio per arrivare in treno da Bergamo, la fame è tanta. Meglio trovare un posto in cui pranzare approfittando del tempo a disposizione.

Non notando i locali del piano rialzato del Centro Commerciale, penso che il Lounge Café San Biagio sia l’unica opzione disponibile. Sembra un posto ben frequentato e wannabe-cool, quindi immagino non avranno grandi problemi a servire un pranzo veloce, ma di buona qualità come è proprio della tradizione emiliana. In effetti l’accoglienza è positiva: mi siedo ad un tavolino da 2 e ringrazio il cameriere per la celerità con cui lo pulisce dai resti dei clienti precedenti. Nel frattempo consulto il menù e decido rapidamente per un piatto di spaghetti con le vongole e per una tagliata di manzo. Abbinamento bizzarro, dettato dalla fame e dalla fretta.

Durante l’ordinazione chiedo la cortesia di ricevere i piatti in velocità, anche sovrapposti tra loro, pur di stare nel tempo massimo. Arriva la mia bottiglietta d’acqua minerale, poi il pane e poco dopo gli spaghetti. Li mangio velocemente e spero che da un momento all’altro arrivi la carne. L’attesa però si prolunga: il cameriere prende tempo e io inizio a sudare freddo. Dopo qualche minuto lo vedo tornare con un calice di vino bianco frizzante: immagino sia un dono della casa per scusarsi della lunga attesa e ringrazio sorridente e impaziente. Nel frattempo vedo entrare nel locale la coppia di colleghi che parteciperà con me alla riunione.

Anche loro non hanno trovato altri ristoranti in zona e così si siedono accanto a me. Ormai è tardi e così uno ordina un’insalata, l’altro la tagliata. Dopo qualche minuto arriva la mia, poi le ordinazioni dei miei colleghi. Completo il pranzo in tutta fretta e mi precipito a pagare mentre i colleghi finiscono il loro pasto. Arrivo alla cassa e segnalo il mio tavolo. Responso: 30 Euro e 50. Rimango sbalordito: come 30 Euro e 50? In base ai prezzi sul menu, primo secondo e acqua dovevano costare massimo 22 Euro e 50. E gli altri 8 Euro? Chiedo alla cassiera che, seccamente, mi risponde: «Ma Lei ha preso anche un calice di Xvbjhndfughbfdufd.»

Provo ad obiettare di non aver ordinato alcun calice di vino, tantomeno del preziosissimo Xvbjhndfughbfdufd. Lei si inalbera e mi dice che anche se non l’ho ordinato l’ho bevuto, quindi ora devo pagarlo. Non voglio andare oltre e pago con la carta di credito, poi esco. Nel frattempo anche i miei colleghi pagano e il conto del loro tavolo è sui 25 Euro totali: questo conferma che i miei calcoli preventivi erano giusti e che il responsabile dell’impennata imprevista del prezzo è proprio il sorso di vino Xvbjhndfughbfdufd che il cameriere mi ha portato di sua volontà. Racconto il fatto ai colleghi che rimangono sorpresi dal conto finale del mio pranzo.

Ovviamente non metterò più piede al Lounge Café San Biagio di Parma. Nel frattempo ho avuto la fortuna di apprezzare locali decisamente più seri come la Trattoria Corrieri: altra qualità delle portate, altro rispetto del cliente. Dispiace soprattutto perché la Pasticceria San Biagio è una piccola istituzione a Parma e il suo spin-off Lounge Café, con questi trucchetti da bar di periferia, rischia di appannarne l’immagine conquistata nel corso dei decenni. Ovviamente mi si dirà che sono stato io il cliente sfortunato: peccato che, una volta chiesto un parere ai dipendenti del Cliente, la loro idea del Lounge Café San Biagio era peggiore della mia.

Il cuore spezzato

6 Maggio 2009

Io ci credevo...Quando qualche settimana fa ho postato su Pollicinor questa immagine, il commento era stato «A volte può essere il contrario». Perché, a generi invertiti, mi ero sentito come nella prima vignetta e in quelle settimane, sebbene ancora fermo alla seconda vignetta interlocutoria, capivo che il crash era, per quanto malaugurato, probabilmente imminente.

La fine di un amore, o anche solo di una storia, è un evento imprevedibile e doloroso. Tu pensi di vivere ancora l’emozione dei primi giorni, l’arrossimento iniziale e ti ritrovi improvvisamente alla quarta, alla quinta, alla sesta vignetta. Ti ritrovi ad osservare i cocci del tuo cuore spezzato ed a chiederti perché è successo, quale sia stata la vera motivazione della fine del rapporto.

Può essere che le responsabilità fossero tutte da una parte o dall’altra e può essere che, in un tripudio di sadomasochismo, in qualche modo ci si sia fatti male a vicenda. Cosa dolorosa ma affatto rara: chiunque sia passato dalla fase “O ci sposiamo o ci lasciamo” può pensare, dopo aver realizzato di non essere in un film, che la fine della storia sia una delle soluzioni più ovvie.

Non c’è ricetta che tenga per un cuore spezzato. Non c’è colla che possa ricomporne i pezzi. Ci si poteva pensare prima, ovviamente, da entrambe le parti. Si poteva evitare di esacerbare le situazioni, porre in atto gli ultimatum, smetterla con i paragoni continui del tipo “lei era meglio di te”, “lui è più affascinante di te” e via all’infinito. Si potevano evitare tante cose e non lo si è fatto.

Il problema non è “restiamo amici”, che secondo me è sempre la cosa migliore da fare dopo queste situazioni, quantomeno tra persone adulte. Il problema è che sorge il dubbio che sarebbe stato meglio essere rimasti sempre amici, che forse non si era fatti davvero per un rapporto di coppia. Sarà l’amarezza del momento, sarà la nostalgia che viene dalle tracce sparse per casa.