Non ero mai stato ricoverato in ospedale in età adulta. Avevo avuto qualche piccola esperienza nell’infanzia: rimangono ricordi sfumati e confusi, anche perché dell’età prescolare. Avevo vissuto solo un po’ di stazioni di pronto soccorso nella mia vita da single, dal 1997 in poi. Avevo frequentato le corsie degli ospedali catanzaresi ai tempi dei ricoveri di mia nonna, dolce e minuta anche fuori dalle mura domestiche.

Essere tornato in quegli ospedali da ricoverato mi ha fatto capire meglio dinamiche e tempi della vita quotidiana di pazienti, medici, infermieri e personaggi vari che sostengono quotidianamente le operations di una struttura complessa come solo un ospedale (specie se pubblico) può essere. Con note di merito per coloro che si adoperano affinché la convivenza sia, non potendo essere piacevole, almeno tranquilla per tutti.

I pazienti, in qualche modo, sono un nucleo separato dal resto del mondo. Sono quelli che vagano mezzi nudi o al massimo in pigiama tra dipendenti della struttura sprofondati nei loro camici e visitatori esterni, che irrompono nella vita ospedaliera anche fuori dagli orari “ufficiali” e creano scompiglio. I pazienti li attendono fiduciosi, gli addetti li guardano diffidenti e in qualche modo rassegnati dal rinnovo periodico dei pazienti.

La differenza fondamentale tra le due macro-categorie di non malati è nella gestione della dignità dei malati. Gli esterni provano ad importare nell’ospedale usi e costumi del mondo civile esterno, spesso scontrandosi con le regole interne. Gli interni invece considerano gli “ospiti” in base alla loro patologia: c’è un triage continuo anche fuori dal pronto soccorso, nei reparti in cui si viene riconosciuti in base al numero del letto.

Sono stato abbastanza fortunato, nell’incontrare esterni non troppo invadenti e interni amichevoli. Sono stato fortunato soprattutto perché, essendo riuscito a evitare l’operazione, sono passato abbastanza inosservato e quindi ho potuto conservare la dignità ad altri negata: ci si considera fortunati quando, seppure con difficoltà, ci si può alzare e andare a fare pipì nella toilette, senza nemmeno la flebo attaccata costantemente.

Una volta usciti dall’ospedale, non ci sono più gli “interni” a proteggere i malati. Le regole tornano quelle ferree del mondo e gli “esterni” ti guardano con compassione. Vedi i loro sguardi che prima cadono sui tuoi punti feriti e solo dopo incontrano i tuoi occhi. Ti senti fragile e indifeso e pensi che, in fin dei conti, era meglio andare in giro mezzo nudi in ospedale piuttosto che attirare di continuo sguardi schifati di sconosciuti.



4 Comments to “Malattia, dignità e compassione”

  1. nikink | Agosto 23rd, 2009 at 11:33

    coraggio amico mio, vedo con piacere che non hai perso la tempra di chi la vita la vive per scriverla, però temo di doverti dire che, più che i tuoi punti quando li vedrò, mi schifa quell’anglismo spurio nel secondo paragrafo, quell’operations che, boh, magari non tradurlo con un semplice “operazioni” che può ingenerare confusione… sanitaria, ma, che so io, di un patrio “incombenze” che ne dici? dai, ammetilo che ti mancavano le mie matite temperate, banane raddrizzate, spulciatine ,-P

  2. ex-xxcz | Agosto 23rd, 2009 at 18:02

    In effetti ho meditato oggi pomeriggio su un termine alternativo, ma come per “marketing” non riesco a trovarne in Italiano. Poi come al solito sono finito su Wikipedia e ho trovato conferma alle mie perplessità… http://it.wikipedia.org/wiki/Operations

  3. nikink | Agosto 24th, 2009 at 09:49

    be’ che dire? grazie per farmene scoprire una nuova… il mio “incombenze”, per quanto ci possa stare, è troppo letterario / domestico, mi rendo conto

    dunque tocca che mi metta sotto, a cercare od inventare una parola che manca: sfida interessante, per me, come immagini 🙂

  4. ex-xxcz | Agosto 24th, 2009 at 09:53

    Secondo me “incombenze” è troppo chic, perché le operations riguarda proprio il girare i bulloni affinché l’azienda stia in piedi. 🙂

    Comunque se riesci a inventare termini italiani per “marketing” e per “operations” prometto che li userò sul lavoro per farti sapere se funzionano…

Leave a Comment