Tornati (politicamente) agli anni Novanta

31 Maggio 2011

Stasera ho scoperto che sia Gramellini che Serra, gli autori delle rubrichette quotidiane più famose d’Italia, hanno entrambi sostenuto che il risultato dei ballottaggi delle amministrative di ieri, in particolare la vittoria di Pisapia a Milano, abbiano rappresentato la fine degli anni Ottanta, intesi come quelli del Berlusconismo ininterrotto, tracimato nel tempo dalla televisione alla politica.

Io nel frattempo stamattina avevo riflettuto su come politicamente la sensazione fosse quella di essere tornati agli anni Novanta: allora come oggi, il Centrosinistra soffriva nella maggior parte delle consultazioni nazionali, ma aveva risultati significativamente migliori alle amministrative. La rivoluzione italoforzuta aveva funzionato a livello parlamentare, ma non nella vita quotidiana delle città.

Il problema del Centrodestra era quello di trovare un numero sufficiente di politici credibili a livello locale rispetto al Centrosinistra che spesso portava avanti tradizioni decennali di governo del territorio. Per qualche lustro il successo alle amministrative è arrivato fino al livello regionale, poi progressivamente molte regioni “storiche” hanno allineato maggioranze regionali e nazionali.

Faccio fatica a confidare nell’entusiasmo di chi pensa che una manciata di comuni (per quanto alcuni di dimensione rilevante) passati dal Centrodestra al Centrosinistra siano un segno di rivoluzione politica di tenore nazionale. È vero, per la prima volta nella storia Milano ha un sindaco di Sinistra, ma Napoli/Bologna/Torino hanno semplicemente mantenuto lo stesso colore.

Magari la differenza è che i sindaci precedenti erano tendenzialmente personaggi ingombranti del Partito Democratico e oggi in realtà come Napoli il cambiamento potrebbe essere più forte. Da qui a dire che sia cambiato significativamente il vento politico nazionale, mi sembra sia un passaggio piuttosto lungo, nel bene e nel male, lungo almeno quanto il tempo fino alle Politiche.

Mondi (non più) separati

15 Maggio 2011

Spesso quando soggiorno per un po’ di tempo in Calabria finisco a fare lo stesso ragionamento che, per quanto ripetitivo, riesce a sorprendermi ogni volta. Partendo da spunti di volta in volta diversi, penso a quanto sia cambiata così tanto negli ultimi anni, in un senso unico: si è uniformata alle tendenze nazionali e a volte internazionali. O meglio, a cambiare sono stati gli abitanti, soprattutto grazie a media, grande distribuzione e trasporti.

Da bambino, negli anni Ottanta, i pochi canali televisivi nazionali rappresentavano più la continuità col passato recente che grandi segni di innovazione; piuttosto, erano le radio a dare spunti su mondi culturali che sembravano lontani anni luce. Il Web era ancora al di là da venire, quindi era piuttosto difficile capire cosa succedeva nel resto del mondo; non parliamo del cinema, che era un sogno più che una realtà frequente.

Da questo punto di vista, i centri commerciali sono stati grandi abilitatori: la comparsa dei multisala ha significato poter accedere a film diversi così come gli ipermercati hanno reso disponibili le merci che prime venivano viste solo nelle pubblicità televisive, destando più depressione che curiosità. Durante l’infanzia, la Standa per gli alimentari e l’Upim per il resto sembravano mondi alieni, peraltro progressivamente eclissatisi.

La terza spinta al cambiamento l’hanno data i trasporti. Purtroppo non quelli su gomma (alias: strade provinciali disastrose e autostrade ridicole) o su ferro (leggi: Alta Velocità questa sconosciuta) ma più che altro grazie agli aerei, in particolare a quelli in partenza da Lamezia Terme. Non tanto per noialtri emigrati, ma soprattutto per chi vive in Calabria, che così può spostarsi velocemente per lavoro o soprattutto per piacere.

Il mix dei tre fattori ha creato una qualche forma di evoluzione in una terra che era stata letteralmente immobile per secoli. Ora guardo i miei conterranei più giovani sui social network e mi rendo conto di come si sentano parte di una società unica, non più separata dal resto del Mondo o anche solo del Paese. Io stesso mi trovo decisamente meglio nel confrontarmi con persone dalla mentalità molto più aperta di un tempo.

Rimangono ancora differenze, ma sono più che altre legate alla realtà lavorativa. Non esistendo lo stesso ambiente economico, a volte è difficile spiegare il proprio lavoro svolto altrove o anche trovare interlocutori “sul pezzo” in contesti ancora chiusi. D’altra parte, se gli unici investimenti dall’esterno risultano essere i contact center, l’unica lingua “business” che si parlerà sarà quella non troppo edificante delle offerte outbound.