Due matrimoni

30 Settembre 2012

Non andavo a un matrimonio dal 2005, a Torino, ma negli ultimi anni ne ho sentito parlare di continuo, specie in considerazione del fatto che i miei coetanei siano ormai per la maggior parte sposati, ottenendo di anno in anno “aggiornamenti” su usi e mode, pur abbastanza stabili nel tempo, diversi al massimo tra Nord e Sud. Quest’anno, in base a strani percorsi della vita, ho assistito a due matrimoni nel giro di un mese: uno in Calabria, l’altro in Umbria.

Sono state esperienze veramente diverse da tutti i punti di vista, sia dal punto di vista personale che in termini di ambientazione, contenuti e culture di origine dei quattro sposi. In un caso, lei calabrese e lui camerunense; nell’altro, lei umbra e lui lombardo. Quattro profili diversissimi dal punto di vista umano, con evidenti implicazioni sull’organizzazione, specie dei ricevimenti: tranquillo e snob il matrimonio umbro, casereccio e allegro il matrimonio calabrese.

Sicuramente entrambi i matrimoni sono stati belli ed emozionanti, intensi e positivi. Probabilmente il matrimonio dei colleghi è stato più vicino al mondo in cui vivo quotidianamente, ordinato e silenzioso, quindi mi son trovato a mio agio nell’ovatta; sicuramente il matrimonio dei cugini è stato molto divertente e l’averlo vissuto con tutta la famiglia lo ha reso un’esperienza dolce da ricordare. In entrambi i casi, tuttavia, una nota di disagio c’è stata.

Essere solo, senza nemmeno una fidanzata a un matrimonio tra colleghi sempre più sposati turba quanto il non ballare a una festa familiare in cui vedi gli altri divertirsi con tarantelle e balli di gruppo sudamericani. Lo so, il problema sono io e quindi devo ringraziare i quattro sposi che mi hanno invitato e cercato di mettermi a mio agio; eppure mi sento sempre fuori posto, in qualsiasi occasione e con chiunque io abbia a che fare, specie nella vita privata.

Dieci cose che odio al ristorante

16 Settembre 2012

A me piace andare a mangiar fuori. Dopo centinaia di cene al ristorante con colleghi e amici, in qualche modo ormai è sinonimo di momento di condivisione, di buonumore. Quando vado da solo è comunque un’occasione per sperimentare piatti nuovi o magari cedere a qualche indulgenza culinaria in più se sono un po’ triste. Il massimo è ovviamente quando vado con la famiglia, perché diventa immediatamente una gita anche se magari il locale è a un chilometro da casa.

Ci sono però un po’ di cose che trovo fastidiose, disdicevoli o del tutto sgradevoli e questo vale tendenzialmente in tutte le occasioni e per tutti i tipi di ristorante, indipendentemente dalla tipologia di cucina o dal fatto che sia io a pagare o se poi il pasto in questione venga in qualche modo rimborsato o pagato da altri. Cosa che grazie a Dio succede molto spesso e quindi mi consente di gustare cibo e bevande scegliendo dal menu ciò che mi incuriosisce di più.

  1. Il bicchierone per il vino

    Non dovrei proprio bene alcolici, per i vari problemi all’apparato digerente; capita però ogni tanto, fosse anche solo per convivialità o perché il vino scelto dai commensali sia particolarmente buono, che ne assaggio un po’. In queste occasioni guardo con sospetto i calici giganti che negli ultimi anni hanno preso il largo anche nei ristoranti più semplici, quelli in cui troveresti più adeguato il vecchio bicchiere da osteria. Sono ridicoli quando utilizzati per vini da pochi Euro o utilizzati per i famosi acquisti “a calice”, riempiti di vini misteriosi; sono ridicoli anche i camerieri quando prima li mettono su tutti i tavolini e poi li portano via prima del pasto scuotendo la testa perché non hai ordinato il vino.

  2. Il dilemma delle posate

    Qui vale il discorso opposto rispetto ai calici: se non sei proprio il gestore di una bettola di millesimo livello, perché metti una sola forchetta? E perché consenti ai tuoi camerieri di togliere la forchetta usata lasciata nel piatto e rimetterla sul tavolino? Oppure perché metti sul tavolo un coltello che non taglia nulla, soprattutto se sei una pizzeria? Non c’è una regola fissa, mi rendo conto; eppure un paio di forchette e un coltello decente dovrebbero bastare nella maggior parte delle occasioni. C’è poi un caso su cui non ho ancora un’idea definita: quello in cui le posate sono “sigillate” in una bustina di carta; da un lato dovrebbe piacermi per ovvi motivi di igiene, soprattutto nei casi tipo self service in cui l’alternativa è prendere posate dal mucchio; dall’altro connota il locale come di basso profilo.

  3. Il menu fisso all’italiana

    All’estero pranzare “à la carte” o scegliendo uno dei menu proposti dallo chef sono due scelte legittime. In Italia storicamente ordinare un menu fisso equivale a scegliere una delle voci etichettate come “menu turistico”, generalmente sinonimo di cibo di bassa qualità (e di porzioni minime). Le cose stanno un po’ cambiando grazie ai ristoranti di altissima fascia, in cui invece sta prevalendo la logica del “menu degustazione”, con costi individuali elevati. Quando sono a una cena di lavoro, considerando il limite di 30 Euro, sono paradossalmente molto più attento ai prezzi rispetto a quando vado per fatti miei: in questa casistica quindi esulto quando trovo per una cifra intorno a quel valore un menu magari un po’ flessibile, con cibi di qualità.

  4. Niente carte di credito

    Siamo nel 2012, quindi non c’è nessun razionale per non accettare pagamenti elettronici. Il ristoratore ha paura della commissione? Peccato che è (a dire tanto) nell’ordine del 3% del totale, quindi su una cena di 30 Euro “perderebbe” 90 centesimi, che è una cifra irrisoria rispetto al ricarico medio applicato sui piatti rispetto al costo di produzione e soprattutto rispetto a voci tutte italiane tipo “coperto” che ormai veleggiano tranquillamente intorno a 2-3 Euro per persona. Alcuni locali prendono solo le carte di debito tipo PagoBancomat perché in effetti la commissione è inferiore; non pretendo che tutti accettino l’American Express (ci provo sempre, ma obiettivamente è più cara per gli esercenti), ma almeno Visa e Mastercard sono il minimo sindacale.

  5. Il rapporto conflittuale col Web

    È fastidioso che esistano locali completamente assenti dai comparatori più noti (almeno TripAdvisor a livello internazionale e 2spaghi per il mercato italiano) così come che i gestori più scaltri inseriscano recensioni esaltate anonime o rispondano piccati alle critiche legittime degli avventori. Di questo rapporto malsano col Web soffrono anche i tanti gestori che hanno affidato la propria presenza a Pagine Gialle e quindi hanno siti tutti uguali, con foto da banca dati invece di banali immagini delle proprie specialità. Sempre meglio loro comunque rispetto a quelli che fanno fare il sito al cuggggino in Flash e poi dimenticano di inserire le uniche informazioni che gli utenti cercano davvero: orari/giorni di apertura e numero di telefono per le prenotazioni.

  6. Quelli col cellulare

    Il punto precedente ne richiama un altro: trovo imbarazzanti i locali che è possibile contattare telefonicamente solo tramite un numero di cellulare. Si ipotizza sia quello del gestore, ma non è infrequente chiamare e trovare dall’altra lato persone che non sanno di cosa tu stia parlando quando cerchi di prenotare oppure sbuffino come se li avessi chiamati sul cellulare personale (che è probabile) oppure lasciano rispondere un familiare a caso di età variabile tra i 9 e i 120 anni. Tenere una linea fissa costa ed è difficile presidiarla durante l’orario di picco, però non vedo molte altre alternative, soprattutto per i ristoranti che scrivono ovunque “È gradita la prenotazione” e poi magari pubblicano sul sito un indirizzo e-mail che non guardano mai.

  7. I dolci che costano come un primo

    Sopra facevo riferimento al costo del coperto, che è in forte ascesa soprattutto in alcune città: a Reggio Emilia ho trovato locali intorno ai 4 Euro, magari gli stessi che poi fanno pagare un dolce 7-8 Euro. Capisco che offrire dolci preconfezionati della Bindi squalifichi il locale e sono il primo ad apprezzare i dolci prodotti dallo chef del locale con una cura confrontabile a quella degli altri piatti, però obiettivamente fa passare la voglia riscontrare prezzi folli sui dessert. Peraltro, visto che ormai da qualche lustro in Italia il concetto di frutta al ristorante si è ridotto a uno spicchio di ananas o similari, diventa cattivo infierire su chi non può prendere un dolce e si ritrova a pagare la stessa cifra folle di questi famigerati dessert da gioielleria.

  8. Il tanfo sui vestiti

    Succede nei postacci e vabbé, ci rimani male ma quasi sconti il costo della tintoria nel prezzo della cena. Ti arrabbi veramente quando vai in un ristorante all’apparenza decente e ne esci impuzzolentito fino al midollo. Spesso l’odore è di fritto o di griglia, colpa magari di impianti di aerazione insufficienti, di porte della cucina troppo spesso aperte o di tavoli troppo vicini alle porte in questione pur di riempire allo spasimo il locale. I ristoranti etnici sono quelli in cui l’effetto-tanfo avviene più spesso ed è un peccato, soprattutto sui capi tipo i soprabiti che preferiresti non lavare di continuo come avviene col resto dei vestiti che butti nel cestone dei panni sporchi al ritorno a casa.

  9. Gli ingredienti di pessima qualità

    Per stare male dopo un pasto al ristorante a volte può bastare il pessimo olio utilizzato per affogare degli spaghetti con le vongole, friggere un antipasto o addirittura messo a crudo come detta la moda. Si tratta di un ingrediente base, su cui si potrebbe investire qualche Euro in più, ma che comunque a volte non è la cosa più dannosa che si può trovare nei piatti. Probabilmente è peggio trovare un menu pieno di asterischi che rimandano a ingredienti congelati anche quando non strettamente necessario che poi, una volta scelti in mancanza d’altro, hanno quel retrogusto terribile oppure una consistenza che denota il loro essere stati conservati male e cotti peggio.

  10. Lo staff antipatico

    Non è facile stare tutto il giorno a contatto con le persone, che spesso magari sono più “demanding” rispetto a come si comportano negli altri locali pubblici; questo però non giustifica gestori burberi, cassieri che sbuffano e ancor meno camerieri che trattano male i Clienti. Non è un caso di scuola: quando inserisco le mie valutazioni su 2spaghi tengo in conto questo aspetto, perché non c’è cibo di eccellenza che tenga se poi sei stato maltrattato in seguito a richieste legittime. Se poi ti comporti da cretino (vale come autocritica) e tratti male lo staff, te la sei un po’ cercata, però in qualche modo dall’altra parte dovrebbero tenere i nervi saldi e continuare a servire secondo lo standard del locale. Che è composto non solo di qualità del cibo, ma dalla qualità complessiva dell’esperienza.