Avevo promesso di scrivere qualche pensierino a proposito di Eataly l’estate dello scorso anno, quando avevo visitato la filiale genovese come turista, non sapendo che pochi mesi dopo mi sarei trasferito a vivere a poche centinaia di metri. Ho aspettato ad appuntare le mie considerazioni perché finora non avevo mai cenato da Eataly; sebbene abbia ormai visitato tante volte l’edificio Millo, la mia esperienza culinaria si limitava solo al piatto di salumi degustati in quel giorno d’agosto.

Ora posso dunque esprimere un parere a tutto tondo sul modello di Eataly, seppure inevitabilmente legato all’esperienza specifica genovese, visto che le visite ad altre sedi del gruppo si contano sulle dita di una mano. Tutto sommato, però, visto che anche le nuove aperture sembrano ricalcare lo stesso modello (al massimo ingigantendolo, cfr. punto vendita di Roma), immagino che le mie considerazioni sull’area vendita al dettaglio e su quella ristorazione siano valide altrove.

Riguardo al primo aspetto: Eataly è decisamente lo store alimentare dei sogni. Dubito possa essere utilizzato per gli acquisti quotidiani come vorrebbe Oscar Farinetti, eppure a poterselo permettere, sarebbe la fonte ideale di approvvigionamento per frutta e verdura biologici, salumi e formaggi di alta qualità, paste fresche e pane appena sfornato (e non solo). Altrettanto spettacolare l’offerta di prodotti a lunga conservazione: vino, olio, dolciumi, conserve e persino sughi.

Molto più debole l’aspetto ristorazione: è qui che esplode la contraddizione tra una metodologia e uno stile sulla carta impeccabili e lo staff di ragazzini svogliati e incuranti. Se quando sistemano la merce sugli scaffali i loro danni possono essere limitati, in cucina e nel contatto umano svelano una totale incapacità di comunicare l’eccellenza che dovrebbe contraddistinguere l’offerta Eataly. Si finisce a degustare piatti in arrivo in ordine casuale, con materie prime di qualità ma di modesta fattura.

Peccato, perché in tempi in cui il food contende all’arte l’attenzione dei più nobili d’animo, il successo internazionale di Eataly sembra ricalcare quello dei piccoli artigiani di provincia la cui immagine si sfalda una volta cresciuti a dismisura. I primi a scappare non sono i foodies, che comunque continueranno a seguire Eataly se non altro come store alimentare; son quel tipo di persone (di cui probabilmente faccio parte anch’io) cui mangiare bene piace, ma vogliono esperienze reali, sapori veri.



3 Comments to “Due parole su Eataly (a Genova e non solo)”

  1. Enzo | Novembre 2nd, 2012 at 13:44

    A Torino, posso dirti che si mangia molto bene, e parlo dei vari ristorantini. A Genova ho provato un paio di volte il Marin ed anche qui sono stato decisamente bene, su gli altri ristorantini tematici non saprei cosa dirti.
    bye

  2. ex-xxcz | Novembre 3rd, 2012 at 19:58

    Per correttezza specifico anch’io che il parere si riferiva ai ristorantini, visto che Il Marin ha prezzi folli per essere un ristorante dentro un supermercato

  3. Pingback dall’articolo » Alienazione del proletariato oggi | Dicembre 11th, 2013 at 21:26

    […] L’ultima volta Elena mi ha fatto molto riflettere. Stavolta io avevo una confezione di tajarin per un regalo e lei li ha accolti con un “Ooooh! I tajarin! Che buoni che devono essere” che, unito al suo sguardo triste e alle consuete lamentele sugli orari massacranti, mi ha dato da pensare sul suo rapporto con il lavoro da Eataly. Qualcosa di diverso dalla svogliatezza vista nei suoi colleghi. […]

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