Perché non ho votato alle primarie del Centrosinistra

30 Novembre 2012

Che io sia allergico in generale alle elezioni primarie l’ho sempre detto sia a proposito di quelle statunitensi, ma sopratutto di quelle italiane, tipicamente di centrosinistra. Ora probabilmente è opportuno dichiarare il perché non abbia voluto votare a queste ultime, che per quanto mi riguarda hanno ulteriormente distrutto l’idea magari virtuosa di partecipazione popolare che ne è alla base originaria. Stavolta non si è trattato del pur vivace scontro ideologico che si era visto qualche anno fa per l’elezione del segretario del Partito Democratico: Franceschini e Bersani avevano giocato la loro partita in pubblico, ma senza particolare veemenza. Tanto meno si possono ricollegare alle prime primarie italiane, quelle che avevano acclamato Prodi candidato premier del centrosinistra contro un gruppo di figurine.

Si è trattato piuttosto di una guerra per bande senza esclusione di colpi, che ha dilaniato la già lacerata coesione tra quella accozzaglia di correnti che è il PD e una serie di movimenti di varia estrazione vagamente auto-etichettatisi come “di centrosinistra”. Cinque candidati tutti intenti a rincorrere il favore dell’elettorato moderato, nessuna differenza significativa di posizionamento, solo accuse reciproche. Tutti i candidati (con l’esclusione forse dell’informe Tabacci) se le sono date di santa ragione davanti agli occhi allibiti dei potenziali elettori, tirando in ballo tutto l’arsenale di solito usato contro quelli che una volta erano i veri nemici: i fondi illeciti, le campagne fuori regola, gli avvisi di garanzia. Marginale il confronto sul programma, sulla carta uguale per tutti ma già tradito in partenza da alcuni.

Bersani ha trattato Renzi come delfino di Berlusconi; Renzi ha distrutto l’immagine di Bersani e di quello che dovrebbe essere il suo partito; Vendola ha puntato tutto sull’effetto sorpresa, confidando di ingigantire la vittoria da outsider che aveva favorito lui stesso in Puglia, Pisapia a Milano o Doria a Genova; la Puppato si è candidata per ottenere visibilità in cambio di poltrone alle prossime politiche. I risultati di queste strategie sono ben sintetizzati nei risultati del primo turno, poi seguiti da infinite polemiche fino a domenica. Ovviamente Bersani e Renzi se la giocano, anche se a guardare i profili sui social network dei miei amici il secondo avrebbe stravinto al primo turno; Vendola col suo discreto bottino al primo turno non mancherà di alzare la voce nella formazione delle liste e nell’assegnazione dei seggi blindati.

Cosa avrei votato io se l’iscrizione alle primarie non fosse stato un percorso burocratico impossibile da sostenere soprattutto per chi vive lontano da casa? Immagino che, per coerenza col mio percorso politico, avrei dovuto votare Vendola. Ma sul serio, con tutto il rispetto per la sua attenzione alle politiche sociali e il buon lavoro svolto in Puglia, davvero ha mai pensato di poter fare il premier? Rimarrà impressa nella memoria la campagna semiseria “Marxisti per Tabacci” che in qualche modo, giocando sul filo dell’assurdo, ha sottolineato quanto poco di sinistra, in queste primarie, ci fosse. Cresce l’americanizzazione della politica italiana e così mi tengo pronto all’ennesima scelta tra voto utile di centrosinista e voto vagamente di sinistra, anche stavolta destinato a perdere come in tutte le “mie” elezioni.

Rivedendo Padova e Venezia dopo tanti mesi a Genova

16 Novembre 2012

Poche città riportano indietro nel tempo me e in qualche modo anche i miei genitori come fanno Padova e Venezia. Soprattutto la prima è meta irrinunciabile di ogni viaggio familiare in Veneto: è ricca di ricordi, che nel tempo si sono trasformati in piccole tradizioni. Una è molto particolare: passiamo ogni volta sotto la Reggggia che mi ospitò per i cinque anni dell’Università e diamo un’occhiata al citofono. Ancora oggi c’è l’etichetta col mio nome sopra ed è una cosa un po’ strana che ci strappa un sorriso tenero, ci fa pensare a quanto quella città ha rappresentato per me e per il resto della famiglia.

È stato facile pensare a come siano passati 10 anni dagli ultimi mesi tra Padova e Venezia, quelli della Laurea e della fine del lavoro a Rialto. Un po’ più strano invece pensare a come ne siano passati 20 (venti) da quell’estate del 1992 che in qualche modo segnò il passaggio dall’infanzia all’adolescenza: la gita scolastica dell’ultimo anno delle medie a Padova e Venezia (daje), quella familiare a Genova per l’Acqario cui ho già accennato. Un triangolo un po’ sghembo, questo Venezia-Padova-Genova, ma che sempre di più negli anni diventerà uno degli assi su cui impilare i ricordi delle altre città degli scorsi anni.

Dal punto di vista più “turistico”, la cosa particolare di questo week-end passato tra Padova e Venezia è stata scoprire nuovi posti, nuovi angoli in città che pensavamo di conoscere fino in fondo: ad esempio Burano nella Laguna o la Chiesa degli Eremitani a Padova. La differenza tra le due città è che, come scrivevo qualche anno fa, Padova si rinnova di continuo grazie alla vigorosa presenza di universitari e ai nuovi spazi commerciali; Venezia è sempre uguale a sé stessa, se non per qualche brutto palazzo che ogni tanto viene costruito in mezzo a isolati storici ovviamente meravigliosi anche se un po’ dismessi.

Immagino sia quello successo nel tempo a Genova, in cui ora purtroppo i palazzacci superano quelli d’epoca. Così oggi Genova è più adatta alla vita quotidiana di Venezia, che è una bomboniera delicata, ma forse solo Padova tra le tre offre il giusto equilibrio. Peccato che se a Venezia e Genova il lavoro è poco, a Padova sembra essere nullo; quindi tra le tre Genova resta la scelta (per quanto poco autonoma) più sensata. Per me tuttavia sarà sempre un posto di passaggio, come lo sono stati Padova e Venezia un tempo. Poi ne verranno altre da confrontare, da vivere e raccontare. E chissà quale forma diventerà il triangolo.