Consumi in tempi di crisi

16 Giugno 2013

Leggo diverse testate online e qualche blog che mi permettono di aggiornarmi sulle tendenze in ambito Retail. Un po’ perché quello è il mercato sul quale lavoro (purtroppo quasi sempre sulla nicchia bancaria), ma anche perché sin da ragazzino ho sempre avuto una certa simpatia per la GDO. Le fonti sono diversificate, anche se tendenzialmente poi si focalizzano su Italia e Stati Uniti. Ho perciò un termometro di quali siano le dinamiche più significative e a volte appunto qualche articolo interessante su Pollicinor, evitando di esagerare: molti degli articoli suonano infatti terribilmente tristi. In un Paese in cui il 70% pensa che le cose vadano «male o malissimo», cambia la grande distribuzione, ma cambiano soprattutto i nostri consumi.

Pare che solo l’1% di noi faccia la spesa senza guardare al prezzo; al contrario, la maggior parte di noi zompetta tra gli scaffali del supermercato cercando le offerte speciali. Viene voglia di andare negli ipermercati piuttosto che nel negozietto sotto casa; io non ci riesco dai tempi di Bergamo e soffro un bel po’, in giro per Conad e Coop. A Reggio Emilia prima e a Genova poi ho infatti cambiato le mie abitudini d’acquisto: non potendo più comprare i miei bei pacchettoni famiglia come avveniva all’Auchan, ho provato a conoscere meglio il mondo delle private label. Devo dire che ho trovato alimenti decenti in diverse categorie, anche se probabilmente per mentalità e/o provenienza familiare, preferisco le marche di alta qualità. Ovviamente in offerta.

Una ricerca di qualche mese fa raccontava come stia crollando l’acquisto di pesce, persino per il classico venerdì di Quaresima, ovviamente a favore di prodotti a basso costo/alto rendimento come pasta e uova. Onestamente nemmeno io compro più pesce da anni; da un lato perché nei supermercati ha sempre un aspetto terribilmente decongelato, dall’altro perché i prezzi sono realmente alle stelle. Io che adoro il pesce, lo mangio in realtà non così spesso come vorrei: lo faccio in Calabria, a casa dei miei oppure loro ospite al ristorante; in alternativa, approfitto delle cene in trasferta pagate dall’azienda per gustarlo in sashimi o ricette liguri insieme ai colleghi. Capita ora che sono a Genova; a Reggio Emilia era piuttosto raro.

È evidente però che quest’ultimo è un consumo viziato dal fatto di poter spendere soldi altrui per soddisfare il mio gusto; non so quanto possa durare questa possibilità. In generale, molti dei miei coetanei hanno limitato le occasioni per mangiare fuori: su questo argomento mi torna in mente un articolo statunitense di un anno fa che parlava di un vero e proprio shift culturale, legato alla crisi e (aggiungerei io guardando il mercato nostrano) ai prezzi alti dei ristoranti, che ormai si stanno segmentando sempre più verso l’alto, inseguendo chi ancora può permetterseli. Immagino che possano fare volumi solo fast food e street food, ma a quel punto per il bene del proprio fegato davvero meglio scodellare piatti di pasta a casa.



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