Gusto e dieta

31 Ottobre 2013

Il mio tentativo di pseudo-dieta iniziato ad agosto prosegue con alti e bassi. Non è di certo un regime scientifico, giusto un voler darmi una regolata prima che la classica panza-del-consulente-in-trasferta diventi eccessiva. Sono a Genova da un paio d’anni e il rischio è concreto, perché tendenzialmente in città si mangia bene.

Gli alti e bassi derivano più che altro dalla difficoltà di conciliare possibilità di nutrirsi, ritmi lavorativi e desideri del palato. Capita insomma di avere voglia di un determinato tipo di cucina ma di non trovare il tempo di degustarla, oppure di aver tempo di andare al ristorante e non avere fame (o molto più spesso il contrario).

Sto cercando di limitare i carboidrati, evitando di mangiare pane e pasta quando la sera vado al ristorante; poi nel week-end cucino io e non posso non mangiarli, anche perché son facili da cucinare. E poi quando il pane e la pasta sono di buona qualità, viene proprio voglia di gustarli: in questo sono abbastanza italiano.

Non avendo seguito le indicazioni della mia amica hindu (cui peraltro nel frattempo ho smesso di scrivere causa “film” da parte sua), continuo ad assaporare la carne con soddisfazione, oltre al pesce che come già detto è alimento soprattutto da pranzi in famiglia. Cerco di limitare i dolci, anche se non posso evitare i gelati.

In tutto ciò, continuo a pensare che il cibo sia il più grande piacere che si possa provare quotidianamente, uno spazio di positiva esaltazione che ci si può regalare anche più volte al giorno, flessibile in termini di qualità e quantità secondo il nostro gusto e il nostro desiderio. Pochi altri sensi possono regalarci soddisfazioni simili.

Scrivevo lo scorso dicembre che sono terrorizzato dall’idea di perdere la vista ed è vero, come potrei mai vivere e lavorare senza i miei occhi? In questi mesi però mi sono accorto che sì, se perdessi il senso del gusto potrei continuare a ingurgitarmi per riempire lo stomaco… Ma che gusto (appunto) ci sarebbe nella vita, senza gusto?

Un insegnamento di Marco Zamperini

15 Ottobre 2013

Ieri non erano solo gli utenti dei social network a essere in lutto. Anche le principali testate giornalistiche hanno dato la notizia in prima pagina della scomparsa di Marco Zamperini, accompagnata da onori alla memoria. Tutti abbiamo appuntato qua e là parole di cordoglio, pur consci che il Funkyprofessor amava essere gioviale e di buon umore, in Rete e non. Una certa serenità d’animo traspariva anche dalla vita privata raccontata con immagini, tweet e post pubblicati in lustri di vita in Rete.

La famiglia Zamperini

Marco aveva già avuto un infarto a 43 anni e da allora conduceva una vita sobria e sorrideva con serenità davanti alle sfide quotidiane, in cui coinvolgeva le tre donne della sua vita: la brillante Paola e le figlie Blanca e Rebecca, anch’esse attive in Rete dalla più tenera età. Vedere un padre che muore a 50 anni lasciando due figlie ragazzine è straziante. Basta un infarto ed è tutto finito, in pochi istanti, pur abitando in una città ricca di opportunità mediche come Milano.

A voglia a fare prevenzione: tutti cerchiamo di mantenere il colesterolo sotto controllo, non fumiamo e cerchiamo di sgranchirci le gambe. Purtroppo il caso di Marco dimostra che non è sufficiente per salvarsi. Sebbene giusto qualche settimana fa leggevo che teoricamente non c’è una grande relazione tra stress lavorativo e infarti, qualche dubbio sullo stile di vita complessivo rimane. Il fatto che Marco facesse il mio stesso lavoro, anche se con 15 anni di vita in più, non tranquillizza.

Leggo le parole innamorate della moglie sul suo blog e ripenso a quanto avessi sofferto quando è morta mia nonna: sono proprio i drammi come questo a crearti più rischi di infarto. Il mio cuore si è subito fatto sentire quando ho avuto colpi pesanti negli anni, mai strettamente lavorativi: quello è uno dei fronti che mi ha dato meno preoccupazioni. Resta la sensazione dell’ennesimo fantasma su cui non si può avere controllo, come possono essere il cancro o le malattie genetiche.

Immagino che se ci si lascia prendere dalla paura non si vive più e in qualche modo l’insegnamento di Marco, soprattutto quello offerto successivamente al suo primo infarto, penso debba indicarci la strada da seguire. Per diventare uomini adulti e mettere in piedi una famiglia, per assumere posizioni di responsabilità in ambito lavorativo, per essere un faro nella comunicazione digitale, un riferimento per tutti come lo era il “nostro” professore funky.