Una fine d’anno diverso

27 Dicembre 2013

Prima c’è stato lo sbattimento del visto per l’India, poi le vaccinazioni: colera, tifo, epatite A, difterite, tetano. Poi il week-end in Veneto, una bronchite e la profilassi antimalarica, che poi è una di quelle che mi preoccupa di più, visto che la malattia è ancora più diffusa di quanto si immagini.

In mezzo l’abbandono della casa di Genova e uno stop alle attività precipitoso, nel senso che il progetto non è ancora finito ma i soldi del cliente sì, quindi ci si può aspettare di tornare qui e lì in Liguria, ma difficilmente con un impegno così forte come quello degli ultimi due anni. Peccato, si stava bene.

Per fortuna sono riuscito a passare il Natale a casa e persino il compleanno, cosa che non succedeva da lustri. Una bella maratona di affetto familiare lunga più di una settimana prima della partenza per l’India, fissata per domani sera da Roma. Sarà triste passare la vigilia di Capodanno da solo.

Mi aspetta comunque un’esperienza piuttosto eccitante. Da un lato vedrò città sconosciute dopo l’assaggio piuttosto parziale dell’India di ormai 11 anni fa; dall’altro siamo arrivati a un bivio con la bella ragazza indiana di cui accennavo a settembre, quindi c’è tanta curiosità anche a livello personale.

Sarebbe bello aggiornare La Cuccia come facevo da Auroville, ma per quanto paradossale sarà più difficile: allora ero con PC e modem 56K, stavolta con smartphone LTE e forse iPad, ma non mi va di addebitare sulla Sim aziendale il folle costo Vodafone di 18€/MB (!). Lo farò quando torno in Italia…

Comunque vada, questa fine 2013 e l’inizio 2014 avranno un senso importante in questa fase della mia vita. Come scrivevo qualche tempo fa, in questi giorni sto riannodando uno dei principali nastri della mia vita e si preannunciano cambiamenti significativi tra un viaggio per il mondo e l’altro.

Alienazione del proletariato oggi

11 Dicembre 2013

Elena (nome fittizio, sullo scontrino ce n’è un altro) lavora da Eataly a Genova. È molto carina e così ogni volta che vado a comprare qualcosa spero ci sia lei alla cassa, che è gentile e mi riconosce (“quello che paga 3 Euro con l’American Express” penso sia la mia etichetta). Timidezza (mia) permettendo, scambiamo qualche parola sui suoi continui turni notturni o sui miei acquisti.

L’ultima volta Elena mi ha fatto molto riflettere. Stavolta io avevo una confezione di tajarin per un regalo e lei li ha accolti con un “Ooooh! I tajarin! Che buoni che devono essere” che, unito al suo sguardo triste e alle consuete lamentele sugli orari massacranti, mi ha dato da pensare sul suo rapporto con il lavoro da Eataly. Qualcosa di diverso dalla svogliatezza vista nei suoi colleghi.

Nelle sue parole c’era una sensazione di distacco dalla merce venduta, un forte senso di distanza per il fatto che la pasta da 10 € al kg fosse qualcosa di fuori portata per lo stipendio, alla faccia della volontà di Farinetti di invitare gli avventori a considerare Eataly come opzione della vita quotidiana. Anch’io mi trovo a disagio con certi prezzi folli, ma questo è un altro discorso.

Una vignetta di Dilbert

Sarei curioso di vedere Elena al posto di Dilbert nel fumetto. In generale immagino che il suo punto di fondo possa essere che in una città morente come Genova avere un lavoro è già qualcosa e quindi c’è poco da fare gli schizzinosi: va bene anche un po’ di alienazione pur di avere un contratto. Altrove è anche peggio: la storia di Eataly Bari sta diventando uno stillicidio infinito.

La cosa inquietante è che praticamente chiunque conosca oggi o è insoddisfatto del proprio lavoro, o è alienato, o entrambe le opzioni. Vedo i sessantenni stremati perché non possono andare in pensione e trovano insensato il proprio lavoro; vedo giovani ambiziosi increduli per il divario tra fatturati e stipendi; vedo donne distrutte dall’impossibilità di coniugare gravidanza e carriera.

Oggi la distanza tra proprietari e dipendenti è decisamente maggiore di quando il concetto di alienazione era stato coniato, anche perché i primi sono spesso fondi di investimento spersonalizzati o famiglie con portafogli all’estero, mentre i secondi sono proletari con laurea e master in tasca che hanno perso qualsiasi speranza di seria rappresentanza sindacale o crescita professionale.

Io sono alienato? Non troppo, anche se tremo al pensiero di (almeno) altri 35 anni di lavoro in una città che è alienante per definizione come Milano. Io sono proletario? No in termini di stipendio relativo ai miei coetanei italiani, anche se mi vien da ridere al confronto con pari età/responsabilità all’estero. Io sono sereno? Sì, ma mi sento davvero inerme rispetto a Elena e agli altri.