Come e più di quanto avessi previsto, il rientro al lavoro dagli Stati Uniti è stato precipitoso e massacrante. Il progetto a Sondrio in particolare sembra interessante, ma basti dire che sto dormendo lì 4 notti totali in 3 settimane per far intuire a chi mi conosce lo sbattimento logistico che c’è dietro. Così ripenso a quella settimana come fosse distantissima e un po’ mi dispiace: avrei voluto scrivere qui tante cose e magari fare un elenco ordinato come avevo fatto a gennaio al ritorno dall’India; invece appunterò solo qualche ricordo ancora particolarmente vivido. Ad esempio: mi sono rimasti sicuramente molto impressi i musei. Molto bello il Museum of Fine Arts di Boston, completo e ben allestito; interessante il piccolo National Museum of the American Indian a New York; imperdibile il Museum of Modern Arts aka MOMA, centro culturale di Manhattan; perdibile il MOMA PS1, che dovrebbe essere la sua declinazione più contemporanea, ma è semi-vuoto. Ho fatto un salto anche all’American Museum of Natural History e al Metropolitan Museum, ma tempo e costi mi hanno tenuto lontano dal visitarli.

Dico “costi” perché avrei dovuto spendere un’altra sessantina di dollari, tra ingressi e deposito bagagli, dopo i 25 spesi ad esempio al MOMA (salvo scoprire dopo che al venerdì pomeriggio l’ingresso sarebbe stato gratuito in quanto offerto da Uniqlo). In valore assoluto forse 25$ a botta per ogni museo potrebbe essere onesto vista la qualità delle opere ospitate; ma in generale tutto è costosissimo ovunque negli Stati Uniti, nonostante un cambio favorevole. A Boston ho pagato 100 Euro a notte un albergo non di certo brillante se confrontato a quelli italiani. Aragoste a parte, non mi sono dato limiti allo spending sul cibo, che è notoriamente un mio chiodo fisso. Ciò nonostante, pur essendo stato nei principali luoghi normalmente suggeriti dai foodies, non ho ricordi così positivi. Mi rimangono alcune curiosità, tipo il pastrami, che da cibi etnici sono ormai diventati prodotti tipici locali; ci sono cose che mi hanno stufato, come le uova a colazione; altri cibi che ho scientemente rifiutato, come gli hot dog (d’altra parte non mangio würstel nemmeno in Italia). Tornerò di sicuro, ma non sono sicuro per motivi culinari.

Tornerò perché gli Stati Uniti sono un mondo totalmente diverso dal nostro, anche se i miei amici Indiani ci etichettano tutti sotto l’etichetta di “Occidentali” (d’altra parte noi etichettiamo come “Orientale” di tutto di più). Sono una terra in cui tutti lavorano e non è difficile immaginare una disoccupazione virtualmente pari a zero. Non sono certo i bifolchi che vorremmo descrivere a tutti i costi; anzi, l’amore che dimostrano nel setup di spazi universitari, musei e luoghi culturali è commovente ed è una lezione da tenere in mente perché non è solo questione di soldi. Mi piacerebbe tornare con Eva (che nel frattempo ha ottenuto il suo visto e quindi passerà un po’ di mesi qui in Italia), per trovare insieme dei punti di contatto tra le varie culture che popolano il Nord America. Il mio albergo era nei Queens ed è stata un po’ una sorpresa uscire dalla metropolitana e scoprire un quartiere di New Delhi trasferito lì; ho trotterellato anche a Little Italy e Chinatown, troppo turistiche per essere credibili, ma anche ad Harlem ed El Barrio, dove rispettivamente le culture “black” e ispanica si sentono davvero.

A proposito di metropolitana: l’abbonamento settimanale, anche se purtroppo utilizzato solo per i 4 giorni spesi a New York, è stato un toccasana per vedere aspetti non strettamente turistici dell’enorme città. A Boston, invece, l’ho presa solo per andare a/venire da Cambridge: le attrazioni sono invece deliziosamente visitabili a piedi, seguendo i mattoni rossi che guidano i turisti anche fuori dal crogiolo di vecchi palazzi frammisti a modernissimi grattacieli del centro. Commistione per altro evidente anche a Manhattan, dove pur con qualche azzardo architettonico qui e là contemporaneo e tradizione convivono e si fanno forza a vicenda. Come scrivevo a tal proposito su .commEurope, abbiamo tanto da imparare; quello che aggiungo qui, è che anche a livello personale tutta l’esperienza mi è servita per aprire gli occhi e avere buoni motivi per continuare a tenerli aperti ora che sono tornato alla routine quotidiana. Sapere che c’è gente sveglia a qualche decina di migliaia di chilometri è un buon incentivo per mettere da parte un po’ di soldini per tornare a trovarli; oppure andare in direzione opposta e conoscerne altri.



One Comment to “Vaghi ricordi degli Stati Uniti”

  1. Pingback dall’articolo » Una prima idea di Israele | Agosto 10th, 2016 at 21:14

    […] sono volato a Tel Aviv per il mio viaggio di nozze un po’ alternativo, ma anche per capire meglio. Nel complesso l’esperienza laggiù è stata bella e memorabile: è nota la mia passione per i viaggi e sapete quanto soffro il non essere mai stato in luoghi diversi da Europa e India, al netto della mia mini-esperienza negli Stati Uniti. Non pensavo di visitare una meta particolarmente turistica e invece, come era avvenuto proprio con l’ultimo viaggio a Jaipur/Agra/Delhi, ho trovato luoghi molto interessanti […]

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