Questo post lo sto scrivendo, per la prima volta, sul cellulare. Non potrebbe essere diversamente: sono in piedi, appoggiato al portone principale della Stazione Centrale di Milano bagnato fradicio e non sono ancora le 2 di notte. Purtroppo.

Un paio di ore fa ero in ufficio ad osservare orari di mezzi pubblici e treni per Ventimiglia: finalmente ecco un week-end lungo, da godere in dolce compagnia a Nizza. Week-end da sfruttare sino in fondo, atteso spasmodicamente dopo una settimana cortissima ma lavorativamente difficile. Con questo spirito ho individuato la combinazione migliore di tram per arrivare in Stazione: un ultimo ritocco al borsone, che oltre al necessario per il week-end deve accogliere anche i vestiti per la prossima settimana lavorativa, poi via verso l’uscita.

Qui inizia il delirio: la porta di uscita dal piano è chiusa. Mi ritrovo prigioniero del terzo piano del palazzone: non c’è badge, non c’è bottone di apertura porta che possa aiutare: vago sperduto tra i mille uffici, alla ricerca di una via di fuga. L’insight arriva da un ufficio illuminato: la finestra lasciata aperta mostra la pioggia battere forte sulle impalcature poste sul retro del palazzo. Prendo ad occhio le misure dell’impresa e sorrido della mia agilità  pari a zero: si tratta di salire sul davanzale pieno di detriti e da là buttare valigia e zaino del PC sull’impalcatura. Lo stesso deve poi essere fatto per passare all’impalcatura poco distante e da là al balcone che porta alle scale di emergenza.

Mentre smonto e rimonto progressivamente i cavalletti delle impalcature nella misura necessaria per far passare me e le valigie, nel cortile si agitano minacciosi i vigilantes: mi domando come potrei giustificare la mia presenza su un’impalcatura, soprattutto a mezzanotte e mezzo. Quando felice riesco a scendere nel cortile, la pioggia sempre più insistente li ha messi in fuga. Io stesso, nelle poche centinaia di metri verso la fermata del tram, mi bagno molto: nel quarto d’ora di attesa, sento che ormai l’acqua mi è arrivata sulla pelle della schiena, oltrepassando tutti gli strati di vestiti.

I due viaggi in tram mi portano verso altre amare sorprese: l’ultimo treno per Torino è partito alle 00:30, la Stazione ha appena chiuso le porte, dall’una alle quattro. Mi metto a scrivere lentamente questo post perché la notte è ancora lunga, visto che il primo treno utile è alle 5:18 ed il freddo dei vestiti che il vento vorrebbe asciugarmi addosso è ancora più insistente del già  consistente rumore dei grandi lavori in corso davanti alla Stazione. Dopo l’esperienza di questa sera penso “sia onore e gloria a chi sulle impalcature ci vive!”

Qualcuno dice che, viste le sventure del passato, Nizza mi porti sfortuna: per ora, questa nuova esperienza non poteva iniziare peggio. Speriamo che prenda una svolta decisamente diversa. Speriamo soprattutto che faccia tanto, tanto caldo: il freddo lo sento ormai nelle ossa.



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