C’è un sogno inconfessabile per ogni bancario: diventare banchiere. Passare dall’inferno delle filiali al purgatorio degli uffici di direzione centrale e poi via, su verso l’empireo in cui oltre all’etichetta cambia sensibilmente la retribuzione: da qualche decina di migliaia di Euro all’anno (al massimo poche centinaia di migliaia per i top manager) a qualche decina di migliaia di Euro che un banchiere guadagna ogni giorno. La definizione stessa di “banchiere”, d’altronde, si è sensibilmente ampliata: non include più solo i “proprietari” delle banche (sempre più ad azionariato diffuso), ma anche amministratori delegati e presidenti, soprattutto per quanto riguarda i maggiori gruppi.

Nel travagliato (ed utopico) percorso dalla filiale al Consiglio di Amministrazione, ogni bancario riceve benefit che nessun’altra categoria professionale può vantare in Europa: se già il contratto collettivo nazionale è generoso e prevede la conservazione di privilegi che le altre categorie professionali non hanno più da tempo, la quasi totalità dei contratti integrativi aziendali, essendo frutto di difficili compromessi tra Gruppi e Sindacati, prevede “premi” a volte veramente significativi. Non solo il tipico bancario gode di assicurazioni sanitarie illimitate, insomma, ma tipicamente dopo ogni mega-fusione acquisisce i privilegi del contratto integrativo della controparte, se più vantaggioso, oppure mantiene i propri, tipicamente integrati di nuove prebende “per il disturbo” causatogli dall’operazione societaria.

Il mio intervento non vuol essere una reprimenda contro le mie “amate” banche, che mi sfamano (anzi, sfamano la mia società, che a sua volta contingenta qualche briciolina ogni mese per me) da tre anni a questa parte, sebbene questo maledetto week-end (dopo la giornataccia/serataccia di ieri e la sveglia all’alba di oggi) ne avrei tutti i motivi. Vuole solo rappresentare un’annotazione a margine dei soliti annunci dei giornali, del tipo “900 esuberi nella Banca X” o “600 efficientamenti dalla fusione dei Gruppi Y e Z”, che ritengo essere informazioni fuorvianti. Se è vero che in Italia un assunto a tempo indeterminato viene licenziato raramente, nel caso delle banche ciò è ancora più raro, anche considerando che non vengono utilizzati metodi come cassa integrazione e dintorni. Nessuno viene mai mandato via, tranne nel ben preciso caso che rubi; il che, fortunatamente, capita abbastanza raramente.

Capisco le gioie del portafoglio, ma io i bancari non li invidio: quelli delle filiali hanno responsabilità impressionanti (sia in termini di gestione dell’attività che di budget commerciali da rispettare), ma vengono pagati decisamente meno di coloro che lavorano nelle direzioni centrali; questi ultimi, in compenso, fanno spesso orari allucinanti, senza reale motivo se non quello dell’appartenere ad uffici tipicamente sotto-dimensionati, in termini di organici e di competenze. Quando te li vedi per 5 giorni a settimana coi loro abiti eleganti e poi ti costringono a stare con loro anche nel week-end, ti domandi se i loro maglioncini con cerniera (tipica divisa del bancario che va di sabato in ufficio) nascondano delle t-shirt con su scritto “Sono un povero dannato con una famiglia da buttare ed ho bisogno di venire in banca anche alla domenica per affermare il mio status sociale”.

Non si capisce per quale altro motivo, d’altronde, un quadro intemedio di una banca trovi soddisfacente stare tanto tempo nel suo habitat naturale: la maggior parte non ha obiettivi particolari in termini di costi e ricavi e d’altra parte è quantomeno improbabile che un qualsivoglia azionista metta in dubbio l’operato dei suoi capi e quindi, indirettamente, il suo. La cosa più frustrante che possa capitare ad un bancario, d’altra parte, è proprio il fatto di venire sballonzolato da un ufficio all’altro, da una professione all’altra, in base a riorganizzazioni societarie più o meno giustificate dagli eventi di M&A, ma raramente ciò avviene in base ai suoi demeriti. Chi l’ha capito, ad un certo punto, ha incrociato le braccia e si è ritrovato confinato in un back office, cioè nel limbo di ogni istituto bancario, in attesa di arrivare all’età della pensione anticipata (e perciò profumatamente incentivata).

State dunque attenti, voi giovani amici che giungete alla Cuccia con query di ricerca tipo “inviare curriculum alla Banca ABC” oppure “lavorare in banca a Roma”: si tratta di ambienti spesso infidi, in cui tutti chiamano gli altri “collega” (da “il collega della portineria” a “i colleghi interinali”, da “il collega della fiiale” per arrivare al ridicolo “i colleghi consulenti della Società ABC”), ma spesso con vivo disprezzo negli occhi. Non è tutto oro ciò che luccica e se qualcosa luccica davvero, avrete l’auditor di turno che monitorerà costantemente le vostre azioni: non sia mai che siate tentati di rubare qualcosa… Una natural attrition in più!



2 Comments to “Fenomenologia del bancario (e del banchiere) italiano”

  1. nikink | Ottobre 29th, 2007 at 17:14

    Eh eh eh… Finiremo su qualche libro nero come nemici del Capitale 😀

  2. Pingback dall’articolo » Bancari e assicurativi in crisi | Marzo 19th, 2017 at 21:11

    […] Negli anni il clima interno prima e quello esterno poi hanno iniziato a deteriorarsi: all’inizio sembravano paranoie dei dipendenti stanchi della corsa al budget, poi si è capito che la grande crisi stava cambiando tutto e tutti, definitivamente. Nei convegni si è iniziato a parlare di “new normal” per definire il nuovo assetto, con tanta gente in crisi e aziende in decomposizione. […]

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