Confronti continui

31 Luglio 2010

Se c’è una cosa che mi ha un po’ stufato nei rapporti interpersonali sono i confronti. Capita di continuo di venir confrontati: nella vita privata, tra conoscenti, sul lavoro. Una volta sei “meglio” di qualcuno come coordinatore, un’altra sei “peggio” di un altro nello scegliere i regali; una volta qualcuno ti etichetta come “meno” impulsivo di un altro amico, un’altra qualcuna ti considera “più” diretto di un altro cugino. Poi ovviamente capita anche a me di entrare in questo gioco perverso, per pentirmene subito dopo.

Nella vita di coppia la storia dei confronti raggiunge picchi elevati (o infimi, a seconda dei punti di vista) a seconda delle fasi del rapporto; quando le cose vanno bene, tu sei “molto meglio di quell’infame” che ti ha preceduto; quando ci sono litigi in vista, viene fuori che “almeno lui faceva bene” questa o quell’altra cosa. Sono stato fortunato perché la quasi totalità delle mie ex compagne erano alla prima esperienza sentimentale; quando ciò non è avvenuto, il festival del confronto era un filo conduttore delle relazioni.

Tutte, però, erano accomunate dal più difficile dei confronti: quello col proprio padre. Potevi essere anche l’uomo perfetto per il 90% delle azioni quotidiane, ma c’era sempre un margine indissolubile di irraggiungibilità in cui la figura paterna era l’astro lucente in termini di fascino, efficienza, gentilezza, disponibilità, etcetera. Poi magari conoscevi i papà in questione e ti domandavi dove fosse tanta perfezione, visto che magari erano persone gentilissime e “normalissime”, non di certo i super-eroi descritti dalle rispettive figlie.

Non è facile capire perché ci piace tanto fare confronti, probabilmente legati a scelte che facciamo magari istintivamente e poi abbiamo difficoltà a gestire a posteriori. Una ex collega, sulla base di foto, informazioni ricevute da me o raccolte dal vivo, un paio di anni fa ricostruì con lucidità una simmetria tra me, la mia compagna di allora, mia sorella e il relativo compagno. La sua ipotesi era che io avessi scelto una compagna “simile” a mia sorella, lei un compagno “simile” a me. Vai a dimostrare il contrario, in ogni caso.

Dietro le scelte relazionali ci sono fattori psicologici difficilmente gestibili in maniera razionale, ma ciò non esime nessuno, nemmeno noialtri italiani mammoloni, dallo “staccare” radicalmente le figure che ci circondano. Se mi vedrete mai paragonare un’amica a mia sorella o la mia compagna a mia madre, siete invitati a farmelo notare, anzi a prendermi direttamente a schiaffi. Per quanto mi riguarda, se mi volete bene, fatemi pure tutte le critiche (o i complimenti) che ritenete opportuni. Ma senza confronti con altri, perfavore.



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