Ricorderete che qualche mese fa rimasi per ore davanti al portone del palazzone che ospita la mia casetta milanese per aspettare i tecnici dell’A2A. In quell’occasione oltre alla volantinatrice fumante avevo notato una quantità notevole di traffico, pur in orari non di punta, pur non essendo su una delle strade principali della città. Per caso poi negli scorsi giorni sono incappato in un articolo che riepiloga le 10 vie più trafficate d’Italia secondo le rilevazioni satellitari di TomTom: con qualche meraviglia (o forse no) ho trovato proprio la “mia” nella top 5, rimanendo però perplesso dell’assenza di altre (Viale Fulvio Testi, ad esempio) a occhio ancora più piene di smog e traffico. Nel “mio” viale almeno si respira e l’inquinamento acustico è limitato.

In generale, il traffico a Milano è veramente terribile. Ogni volta che ne parlo con un “milanese” (le virgolette sono d’obbligo) noto una tendenza quasi a giustificarlo, come se non si potesse far altro che passare ore in coda nell’abitacolo della propria auto mentre i pedoni boccheggiano cercando di attraversare la strada. Una situazione davvero da far west, ripetuta ogni santo giorno. Poco ha potuto l’Ecopass, se non a portare qualche fondo in più nelle casse comunali. Pur ipotizzando che i veicoli più moderni inquinino meno di quelli vecchi, questi ultimi sono abbondantemente presenti a 5 cm dal bordo della zona limitata, con tutto il proprio (s)carico di inquinamento. Peraltro, col meccanismo dell’Ecopass i veicoli inquinanti sono comunque ovunque.

Ci sono interi quartieri costruiti ai bordi delle vie di scorrimento (teoricamente) veloci. Tangenziali, circonvallazioni, grandi viali che vengono attraversati da migliaia di macchine ogni ora, costituendo un panorama non particolarmente edificante per chi negli edifici limitrofi vive (pentendosene ogni giorno) o lavora (maledicendo i decisori aziendali che hanno scelto la sede perché magari più economica del Centro). Questi quartieri sono spesso progressivamente abbandonati al degrado: spesso è bastata la “morte” di un palazzo, tipicamente un’ex fabbrichetta abbandonata, per dare avvio a una spirale autodistruttiva, in cui anche i palazzi residenziali nelle vicinanze hanno iniziato a perdere valore per i proprietari e quindi a essere sempre meno curati.

Torna un po’ in mente la teoria delle finestre rotte che qualche anno fa andava molto di moda tra sociologi e politici. A Milano la teoria al momento sembra aver trovato più una dimostrazione della sua efficacia negativa che un’applicazione delle potenzialità positive: i quartieri muoiono uno dopo l’altro e l’unica scusa che si trova per giustificare/condannare questo fenomeno è far riferimento alla forte presenza di extracomunitari. Che è un po’ un modo per cittadini e politici di lavarsi le mani e continuare a pensare a progetti faraonici (senza arrivare all’Expo, basti pensare alle colate di cemento in zona Isola-Garibaldi o a Fiera-City Life): tanto il decadimento è lento, a passarci ogni giorno qualche minuto davanti, fermo nel traffico, non lo si nota nemmeno.



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