La mia eterna condizione di profugo nel mio stesso Paese mi ha portato negli anni a “testare” qualche pronto soccorso qua e là: a Padova, Torino, Catanzaro e Bergamo. Ero stato anche a Bologna nel mio primissimo viaggio da solo, ormai quasi 20 anni fa; grazie a Dio sono riuscito a non provare Roma, Reggio Emilia e Genova. A Milano ero stato una sola volta per una cosa un po’ seria, poi sono andato al Niguarda negli scorsi giorni ed è stato un disastro. Come accennavo nel post precedente, sono state settimane ricche di problemi di salute: dopo il viaggio di ritorno dall’India con la febbre alta (il mio vicino di posto avrà apprezzato) mi era sembrata una buona idea farmi dare un’occhiata. E invece no: nonostante il codice verde (che non è grave, ovviamente, ma non è nemmeno il codice bianco che implicitamente indica il non dover nemmeno essere là) ho passato oltre 11 ore con una mascherina in luoghi fatiscenti.

Contrariamente alla scintillante zona dei negozi (ma cosa diavolo…), l’area pronto soccorso dello storico ospedale milanese è piuttosto abbandonata: la fila avviene per la maggior parte nei corridoi ed è veramente infinita. Sono passate 5 ore dal mio ingresso alla visita col dottore (anzi, con l’infermiere, visto che la dottoressa si è limitata a guardarmi a distanza e prescrivermi gli esami del sangue); poi 5 ore e 58 per essere richiamato a commentare i risultati. Direte: ma che precisino che conta i minuti. In realtà la cosa è sospetta: c’è una regola che dice che oltre le 6 ore di “osservazione” (definita come il periodo successivo alla prima visita) non è dovuto il ticket di 25 Euro. Alla fine io non l’ho pagato perché ritenuto sufficientemente “grave” da meritare un qualche riconoscimento di urgenza; ma mi dicono i colleghi che non è infrequente poi arrivi un sollecito di pagamento a casa per i casi ritenuti “declassabili”.

Pochi giorni prima avevo accompagnato Eva in un ospedale di Bangalore: triage casalingo alla cassa, 10 rupie per la visita “generica” e meno di mezz’ora di attesa. Il luogo era altrettanto cadente, ma mi dice Eva che ci sono ospedali ben più moderni; va bene così, 10 rupie sono un prezzo accettabile anche per i più poveri che hanno così accesso a un consulto medico. Le medicine costano un po’ meno dell’Italia, quindi capisco che possano sembrare care. D’altra parte le medicine sembrano care anche a me in Italia. Non avendo medico di base in loco, ogni volta devo pagare non solo gli OTC, ma anche antibiotici e dintorni: mi domando il perché, visto che sono iscritto al SSN. Pare che in alcuni casi come non residenti si possa andare alla guardia medica per “soli” 15 Euro; ma ovviamente anche là a Milano fila apocalittica, poi appunto mi domando se il beneficio sia uscire con una ricetta che renda “mutuabili” i farmaci.

Devo comunque annotare un’altra esperienza, decisamente più positiva: qualche giorno dopo la tragica giornata a Cà Granda, sono andato all’Ospedale dell’Angelo di Mestre. In questo caso meritavo un codice bianco, ma d’altra parte dopo 6 giorni di diarrea un medico dovevo incontrarlo: ho pagato i miei 25 Euro (con carta di credito) e in 3 ore ho avuto una prima visita, le analisi del sangue e un secondo incontro di chiusura col medico, un cinquantenne preparato (contrariamente alle ragazzette distratte del Niguarda). Poi come al solito ho pagato i miei farmaci, visto che sono un cittadino di serie B: troppo “ricco” per avere esenzioni, lontano dal luogo di residenza, con una polizza sanitaria privata che costa centinaia di Euro l’anno ma copre giusto qualche esame qua e là. Spero che in questo 2016 possa trovare una casa in cui stabilirmi e in cui spostare la residenza, giusto per ottenere qualche diritto anch’io.



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