Deprivazione relativa

14 Marzo 2016

Tra le mille teorie interessanti a cavallo tra psicologia sociale e sociologia, quella della deprivazione relativa sembra particolarmente attuale: potrebbe spiegare il perché della continua insoddisfazione di molti di noi ed essere la chiave di lettura del perché anche se abbiamo uno stipendio decente rispetto alla media italiana, nessun problema di salute serio e tanto affetto intorno, continuiamo a essere imbronciati e insoddisfatti.

Quest’anno l’annuale valutazione lavorativa non è stata granché: il che non appare scritto da nessuna parte, visto che i “voti” sono alti e il “premio” (che poi sarebbe più corretto considerare retribuzione variabile e non una donazione divina) arriverà presto sul mio stipendio. Sono io ad autovalutarmi e a ritenermi insoddisfatto: non tanto del (tanto) lavoro fatto, quando dei mancati traguardi raggiunti rispetto a chi ha la mia stessa età.

Dopo essere rimasto vittima della regola dei 35 anni, veleggio in una relativa mediocrità. Tiro avanti progetti sempre più complessi, con un po’ di attività commerciale a latere; dall’altra parte se volessi “svoltare” dovrei fare solo attività commerciale, ma ciò non potrà mai avvenire dovendo guidare progetti sempre più complessi. Quindi guardo ai “peers” con invidia, anche se poi c’è sempre chi mi dice “c’è chi sta molto peggio di te”.

L’alternativa ovviamente sarebbe mettersi a cercare seriamente un nuovo lavoro, ma non sono sicuro di avere tempo, voglia e capacità di farlo in tempi brevi. Al contrario, sto provando a far capire all’interno della mia società che in questi mesi ho e avrò sempre più delle priorità personali più che lavorative: ovviamente so già che questo mi verrà ritorto contro a livello lavorativo ma come è noto non sono un bravo bugiardo.



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