Europa delle regioni

29 Ottobre 2017

Non è che sia molto sorpreso dai risultati dei referendum “autonomisti” in Lombardia e Veneto, con l’alta preferenza per i Sì. Né posso esserlo per la crescente tensione tra Spagna e Catalogna. Potevamo d’altronde meravigliarci per il tentativo degli scozzesi (non troppo deciso, bisogna dire) di provare ad approfittare del sì alla Brexit per provare a scappare dalla Gran Bretagna? Veniamo da decenni in cui le Fiandre minacciano di lasciare il Belgio, i Baschi reclamano la propria diversità dagli Spagnoli e a poche centinaia di KM abbiamo visto esplodere l’ex Yugoslavia. Siamo un’Europa in cui sopravvivono città-stato come San Marino o Andorra, fino all’estremo del Vaticano; tutto dietro la giustificazione della “tradizione” storica.

Quando stavo a Sondrio, una domanda frequente dei cittadini e soprattutto degli abitanti della provincia era legata al perché quest’ultima non godesse degli stessi diritti delle province alpine di Bolzano o Trento. In fin dei conti gli stessi referendum di Veneto e Lombardia sono stati basati sulla retorica dell'”autonomia per tutti”, sulla tutto sommato oggettiva e forse ingiustificata diversità di trattamento. D’altra parte in Italia le regioni autonome sono ormai simbolo di benefici sparsi a pioggia e dipendenza dal pubblico; non solo la Sicilia cui pensano i più maliziosi, ma ad esempio la Valle d’Aosta, che periodicamente finisce sui giornali per l’orribile gestione della cosa pubblica. Le altre regioni invidiano alle autonome l’essere di fatto fuori controllo, capaci di bruciare miliardi di Euro per placare il senso di colpa nazionale.

Ogni tanto torna di moda la locuzione “Europa delle regioni”, anche se poi ogni politico la riempie di significato a modo suo. Quello che piace a me è pensare a degli Stati Uniti d’Europa, in cui gli stati siano blocchi da una decina di milioni di abitanti l’uno; potrebbe essere un modo per superare le lotte centrifughe che sempre più emergeranno nei prossimi lustri, unendo più che lasciando andare. In fin dei conti se Sicilia o Lombardia hanno la dignità di essere stati indipendenti, può aver senso accorpare alcune regioni meridionali o settentrionali, legate da destini comuni più che separate storicamente da un fiume o una catena di montagne; lo si vede tanto anche in Germania o Francia, per non parlare degli Stati dell’Est entrati recentemente in Europa o bramosi (si fa per dire) di farlo nei prossimi anni.

Qualcuno dice che i padri fondatori degli stati nazionali si rivolterebbero nelle tombe, dopo decenni di lotte su ogni territorio; ma obiettivamente così come sarebbe utile avere un’entità di scala globale come possa essere l’intera Europa, dall’altra parte andrebbero ricomposte le istanze locali che rischiano altrimenti di finire in una centrifuga pericolosa. In tutta Europa i partiti populisti e quelli autonomisti guadagneranno sempre più consenso, puntando sul clima costante da Repubblica di Weimar; peccato che nel frattempo nel resto del mondo le grandi potenze continueranno a premere il pedale dell’acceleratore. Cosa succederà quando India, Cina o Russia faranno la voce grossa e noi saremo ancora suddivisi nelle nostre nazioncine da qualche decina di milioni di abitanti, ogni anno sempre più piccole?



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