Era il 17 febbraio: a quest’ora ero da poco atterrato con un Easyjet da Malpensa, avevo preso una metropolitana e stavo cenando all’Hofbräuhaus am Platzl. Un’esperienza singolare, che mi faceva pensare da un lato alle cene coi colleghi all’HB di Genova, dall’altro al viaggio pianificato da quasi un anno con Eva e Margherita in Germania per fine aprile. Il giorno dopo forse la prima giornata lavorativa all’estero da quando lavoro in questo gruppo, dal 2004: un piccolo evento personale. Alla sera ero già a casa a raccontare incuriosito a mia moglie del termoscanner “subito” a Malpensa T2 una volta atterrato.

Cos’è successo nelle settimane successive, forse, è più nella sfera pubblica nazionale che in quella privata. Io posso solo annotare di essere andato al lavoro tutti i giorni sino al 9 marzo, vivendo tutti gli alti e bassi intorno: l’istituzione della zona rossa per il Coronavirus, l’entusiasmo del tutto immotivato dei milanesi nei giorni successivi, quindi i lockdown prima regionali e poi nazionali. Da martedì scorso, quindi una settimana oggi, lavoro da casa: un’esperienza formalmente nuova e sicuramente duratura nel tempo, anche se in questi anni di giornate di lavoro a casa ne ho fatte diverse, in diverse case.

Come sembra lontana nel tempo, quella cena col brusio di migliaia di persone in sottofondo. In un mese prima è cambiata l’Italia, poi ha iniziato l’Europa; ora è il turno di Gran Bretagna e Stati Uniti. Io ed Eva guardiamo preoccupati alla Calabria e all’India, dove vivono i nostri genitori; per fortuna entrambe sono ancora non travolte da Covid-19. Anche quaggiù tutto sommato, un mese fa, il pericolo sembrava del tutto remoto, confinato nei reportage dalla Cina che Eva compulsava, per interesse personale. Oggi, invece, sembriamo appesi a un filo, incapaci di capire quanto sia grave la situazione.

I numeri di casi a Milano e relativa città metropolitana, infatti, sembrano del tutto sottostimati; probabilmente lo sono anche in molte altre zone in Italia. Io ogni tanto tossisco e in particolare giovedì scorso ho avuto un momento di viva preoccupazione, con una reazione fisica mai vista prima (ma niente febbre); confidiamo sia lo stress e non l’infezione. Eva mi guarda sconsolata e pensa che tutti noi prenderemo la malattia, prima o poi: si spera senza impatti troppo tragici. Ma quale sia davvero l’effetto di questa situazione nel lungo periodo nessuno scienziato può ancora dirlo; non solo per la malattia in sé.

Ho seri dubbi che quando tra pochi giorni finirà il blocco nazionale e quando tra un paio di settimane ci sarà la deadline di quello lombardo, le cose miracolosamente saranno cambiate. Quindi il rischio è che si continui così ancora per molte settimane; ma poi, cosa dovrebbe succedere alla fine di queste settimane? Potremmo andare avanti per mesi, ma ci sarà sempre qualche malato e purtroppo qualche morto; qual è il segnale che ci farà smettere? All’improvviso decideremo che va bene così e possiamo tornare alla vita di prima? La vita sarà quella di prima, con salute pubblica ed economia a pezzi?



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