Cara Geox…

30 Novembre 2010

Il 18 febbraio del 2010 indosso per la prima volta in vita mia un paio di scarpe Geox. Le ho comprate a settembre dell’anno prima insieme a un giubottino plasticoso nello store Geox in centro a Milano e non le ho indossate per tutto l’inverno aspettando un momento speciale. Ricordo la data perché quel giorno ho un evento aziendale e sento che c’è qualcosa di speciale nell’aria. Vado all’evento, succedono cose un po’ bizzarre che confermano il mio presentimento positivo e penso di aver fatto bene a indossare quelle scarpe, abbastanza eleganti, perfette comunque per il lavoro di tutti i giorni da consulente di direzione.

Ormai è primavera, inizio a indossarle con continuità. Non in vacanza, ovviamente, ma per il resto diventano il mio paio di scarpe principali, fino a fine agosto quando su suggerimento dei miei genitori faccio sistemare i tacchi, particolarmente consumati. Torno al lavoro e per un paio di mesi continuo a utilizzarle, sebbene noti che inizi a entrarci dentro l’acqua dei primi temporali autunnali. A fine ottobre desisto: le scarpe sembrano semi-distrutte in 6-7 mesi di utilizzo. E sì, mi piace camminare, ma faccio il lavoro più sedentario del mondo, ore e ore seduto davanti a un PC o in riunione o sui mezzi pubblici in giro per l’Italia.

Sono perplesso. Le scarpe in questione le ho pagate un po’ meno di 200 Euro: un costo in linea con quello della concorrenza, anche di quella un po’ più blasonata di Geox. Le ho volute provare per la storia della scarpa-che-respira, perché in fin dei conti il marchio avrà pure invaso i centri commerciali d’Italia coi suoi modelli pseudo-sportivi, ma conserva un minimo di connotazione di qualità (non certo di esclusività). Questo paio, in particolare, con pelle e cuoio a go go, sembrava all’apparenza un compromesso perfetto per le mie esigenze. Sono molto deluso, un paio di scarpe non può auto-distruggersi in così pochi mesi.

Nelle ultime settimane sto utilizzando un paio di scarpe Moreschi, molto eleganti ma decisamente delicate: quando le ho comprate lo immaginavo, vista la produzione semi-artigianale. Per i giorni in cui neve e ghiaccio sono esagerati, utilizzo un vecchio paio di scarpe alte della Lumberjack. Per ora va bene così, almeno per far passare questo inverno, che si preannuncia climaticamente molto duro. Poi arriverà di nuovo la primavera e la scelta di nuove scarpe, ma stavolta Geox non sarà presa in considerazione, anche per la modesta qualità del giubotto (ma evito di infierire). Peccato, sarei potuto diventare un cliente fedele (e redditizio).

Paola Caruso e il Superenalotto

17 Novembre 2010

Ho aspettato la buona notizia di stamattina (la sospensione dello sciopero della fame) per scrivere qualche riga sulla vicenda di Paola Caruso. Ho aspettato perché su questa storia mi sono speso tanto, al di là di quanto possa sembrare pubblicamente cercando gli interventi a mio nome. Perché ho creduto nella voglia di protesta di Paola, pur ritenendo troppo dannoso per la sua salute il metodo scelto.

Sono stato tra quelli che più ha insistito sabato sera affinché terminasse almeno lo sciopero della sete, che ha effetti troppo pesanti sull’organismo. Ho incrociato le dita affinché in questi giorni sospendesse quello della fame, perché anche se non l’ho mai incontrata dal vivo Paola mi è sempre sembrata fragile come un uccellino, almeno a livello fisico. Non certo a livello caratteriale, vista la testa dura.

Ho imparato a conoscerla sui social network negli scorsi mesi, notando appunto questa caparbietà tutta calabrese, scrutando con discrezione i suoi post di taglio privato a complemento degli articoli economici/scientifici da tempo tenuti d’occhio sul Corriere della Sera. Onestamente, fosse stata un’altra persona a iniziare lo sciopero della fame non avrei reagito così, ma Paola è Paola e meritava la mia attenzione.

Ho dato corda nelle prime ore ai personaggi in cerca di notorietà: era strumentale per dare risalto, attraverso la loro voglia di protagonismo, alla lotta di Paola. Ho così visto i più furbetti precipitarsi a scrivere un post al fine di trovarselo poi linkato in altri post sull’argomento, tanto per guadagnare un po’ di luce riflessa rispetto a una persona che metteva in gioco la sua vita reclamando dignità professionale.

Ho poi visto, appena il giorno dopo, innalzare critiche furibonde alla protesta della giornalista precaria e nei confronti della persona stessa. Negli scorsi giorni il segno tendenziale dei social network nei confronti di Paola è diventato pesantemente negativo, proprio nel momento in cui finalmente la sua vicenda otteneva visibilità, col passaparola, davanti alle macchinette del caffè degli uffici di mezza Italia.

I media hanno tendenzialmente ignorato la protesta di Paola, visto che di giornalisti sfruttati e malpagati le redazioni sono piene. È stato in qualche modo bello poterla aiutare a far partire un meccanismo virale una volta tanto non legato a un marchio o a un prodotto, ma alla vicenda professionale di una ragazza partita dal Sud sognando il lavoro in un giornale importante e ancora precaria a quasi 40 anni.

Non sono precario, anche se la mia verve imprenditoriale vorrebbe che fossi più autonomo possibile nella vita quotidiana, non solo lavorativa. Vedo però familiari, amici, conoscenti che vivono con poche centinaia di Euro nelle regioni del Nord, con le famiglie a migliaia di kilometri a sostenerli. Trovo tutto ciò molto triste e penso di essere fortunato a poter offrire a mia volta lavoro stabile a ragazzi smart.

Certo, a volte penso che sarebbe bello vincere al Superanalotto. Utilizzerei i soldi per mettere su un’azienda tutta mia, in cui i ragazzi smart da assumere potrebbero essere decine, centinaia, magari lasciando loro vivere la propria esistenza a fianco dei propri cari. Sarebbe bello poter proporre a Paola Caruso, a mia sorella o ai miei amici di tornare al Sud e lavorare insieme su qualcosa di veramente bello.

Alla fine mi ritrovo anch’io a boccheggiare al Nord. Non tanto dal punto di vista economico, quanto sociale. Potrei certo tornare in Calabria e vivere coi soldini messi da parte in questi anni, ma questo non contribuirebbe granché alla crescita di quelle terre. Così sto al Nord, in alcune occasioni vistosamente controvoglia (leggi: quando sono a Milano), osservando me stesso invecchiare velocemente.

Spero ci sia l’occasione di conoscere Paola dal vivo, immagino a Milano, per ascoltare dal vivo i racconti di una professionista che deve costruirsi da sola ogni giorno la strada da percorrere. Nel frattempo da un lato spero nessuno voglia seguire la sua drammatica forma di protesta, dall’altro che Paola ottenga riscontro alle sue richieste di stabilità. Prima che anche lei si scopra invecchiata e inappagata.