Stanchi di WordPress, ma senza alternative

31 Agosto 2010

Questo blog gira su WordPress; questo, unito ai problemi avuti dall’ISP che lo ospita nella seconda parte di agosto, ha fatto sì che per qualche giorno sparisse dalla circolazione. Con un lavoro certosino e l’aiuto di Google Cache, sono riuscito a recuperare gli ultimi articoli scritti e aggiungerli al backup di un mesetto fa. Ci sono andati di mezzo un commento di Treccia (che spero mi perdonerà) e uno mio, per il resto tutto dovrebbe essere tornato come prima. Sugli altri blog il dubbio di fondo rimane: all’apparenza sembrano OK, ma essendoci stati problemi diffusi sui database, potrebbero avere problemi non riscontrabili a primo acchito.

Non è la prima volta che mi lamento delle difficoltà di mantenere “up & running” dei blog su WordPress senza assistenza alcuna. Tutt’ora in giro per gli archivi della Cuccia permangono strane lettere accentate, per colpa di un upgrade più problematico del dovuto: bisognerebbe rileggere e modificare ogni post e ogni commento, ma manca il tempo più che la voglia. La consolazione è che nelle ultime versioni l’aggiornamento di WordPress e plugin è diventato semi-automatico; tuttavia, il passaggio alla 3.0 è stato più drammatico del previsto (l’aspetto positivo è il fatto di aver dovuto di conseguenza produrre il backup usato un mese dopo).

Più passa il tempo e meno voglia si ha di rincorrere le paturnie della piattaforma di CMS, dell’ISP e dei produttori di plugin. Non che ci siano grandi alternative: il mondo del blogging contrariamente a molti altri è nato SaaS e si è evoluto in WordPress come summa definitiva, a sua volta alla base dell’unica piattaforma tra le nuvole decente, WordPress.com. Però rimane il mal di pancia di fondo: installare WordPress su un proprio dominio è ancora la scelta migliore se si vuole tenere sotto controllo gli archivi, modificare in profondità i template, evitare di sottostare alle evoluzioni contrattuali e pubblicitarie di un fornitore di Oltreoceano.

Quest’ultimo punto è ovviamente il più delicato. L’innamoramento collettivo per Twitter o quello un po’ di nicchia verso Tumblr si scontrano da un lato con piattaforme troppo cresciute per avere prestazioni coerenti, dall’altro con la spada di Damocle di business model non sussistenti, in base ai quali le piattaforme potrebbero chiudere baracca da un momento all’altro o diventare a pagamento o cancellare gli archivi. Così a qualcuno di noi macina in testa la voglia di migrare il proprio tumblelog su WordPress, ma poi rinuncia sia per il tempo necessario, sia per la necessità successiva di dover gestire un ulteriore spazio sui propri domini.

Luca Sofri qualche giorno fa riprendeva Chris Anderson a proposito del trade off tra comodità e potenza degli strumenti sul Web: se si ha un sacco di tempo libero, ci si può confrontare coi circuiti P2P per scaricare una canzoncina, se si è molto impegnati, è più facile comprarla con un paio di click su iTunes. Bisognerebbe capire quale potrebbe essere un modello simile anche per blog, tumblelog e dintorni: perché molti di noi si sono un po’ stancati, di fare al tempo stesso i sistemisti, i tipografi, gli editori e gli scrittori. Parafrasando Nino Manfredi in un vecchio slogan del caffè, «Scrivere è un piacere. Se non è comodo, che piacere è?».

In Belgio, molto tempo dopo

17 Agosto 2010

Pochi sanno che un tempo il Belgio era la seconda potenza economica mondiale. Io l’ho scoperto da bambino, complice il fatto che, essendo mio padre nato lì durante gli anni del boom della Vallonia, le curiosità su quello Stato lontano 2.000 km erano all’ordine del giorno a casa mia. Il primo viaggio da quelle parti risale al 1987: io ero alle Elementari e si trattò della mia prima esperienza internazionale. Ho ancora oggi tanti bei ricordi di quella esperienza così diversa dalla mia vita quotidiana: ai tempi, persino un ipermercato sembrava qualcosa di irraggiungibile.

Ci sono tornato pochi anni dopo, durante un viaggio in famiglia a cavallo tra Paesi Bassi e Belgio; poi, un blackout di quasi venti anni e infine la settimana appena conclusasi, in giro per grandi città e piccoli centri sparsi per tutto il Paese. Di nuovo una bella esperienza, anche se più dal punto di vista turistico: stavolta ad attrarre l’attenzione sono state città affascinanti come Bruges o musei imperdibili come quelli dedicati a Magritte (a Bruxelles) o a Hergé (a Louvain La Neuve). I punti di interesse economico-commerciali, d’altronde, sono quasi spariti del tutto.

Lo spirito “moderno” riscontrato a fine anni Ottanta è infatti stato sepolto da una coltre spessa di tristezza. Io conserverò ricordi più che piacevoli dell’esperienza 2010 come sempre avviene per i viaggi familiari, ma non potrò dimenticare i visi tristi di un popolo afflitto da una disoccupazione imperante. Basti dire che l’attività economia più “sveglia” vista in giro è la Distilleria di Biercée, che è uno stabilimento produttivo disperso nella campagna che ha saputo rinnovarsi come luogo di attrazione turistica e spazio congressi. Per il resto, calma piatta ovunque.

Qualcuno sostiene che sia colpa dell’immigrazione selvaggia, ma ripensando a quanto scrivevo tempo fa citando proprio l’esperienza dei miei nonni migranti in Belgio, direi che non è mai possibile addebitare a chi viene da fuori le (ir)responsabilità di politiche sociali ed economiche insostenibili. Per quanto possa sembrare strano a dirsi, oggi il Belgio è un luogo dalle enormi potenzialità turistiche; massima solidarietà, però, a chi deve viverci quotidianamente, trovando ogni giorno un motivo per sopportare il cielo sempre cupo, magari avendo perso l’ennesimo lavoro.