Tolleranza zero

30 Aprile 2010

Ho avuto la fortuna, negli ultimi anni, di conoscere persone di molte nazionalità diverse. Poche negli anni dell’Università, tantissime in quelli dei Master, numerose negli anni successivi. Le ho conosciute nel loro Paese o in Italia, in veste di migranti o di studenti in scambio internazionale, con le loro famiglie in giro turistico per l’Europa o in giro per aeroporti per motivi di lavoro. Parlo di “fortuna” perché ho capito nel corso degli anni che le differenze culturali profonde, al di là degli slogan e del buonismo, sono un bel propellente per la propria crescita personale e professionale.

Il buonismo, a dire il vero, l’ho perso per strada negli ultimi mesi vissuti a Milano. Dopo anni passati a contrastare slogan politici contro l’intolleranza verso gli stranieri ospiti nel nostro Paese, ho iniziato a capire l’origine di tanta rabbia. Ho vissuto sulla mia pelle il confronto infelice con persone accomunate più da una totale inaffidabilità che dalla nazionalità, di volta in volta differente. Ed ho visto scene poco edificanti, vissute da queste persone con fare indifferente, a volte insensibile del rispetto e della convivenza. E ci sono rimasto male, veramente, tremendamente male.

Quando ne ho parlato con i miei amici e conoscenti stranieri, ho trovato una comunanza di riflessioni solo in apparenza sorprendente. Ho capito che la nazionalità non è mai una scusante o un motivo per difendere chi è nel torto, li ho visti arrabbiati quanto e più di me per i comportamenti dei loro (ex) compatrioti che, al contrario loro, non hanno voglia di integrarsi ed anzi danneggiano, con tutta evidenza, anche i loro sforzi di integrazione. Ho pensato ai miei nonni che vivevano in Belgio da migranti rispettabili, ho immaginato la rabbia nell’essere paragonati ad italiani poco seri.

Oggi, quando sento parlare di tolleranza zero, sospetto che i veri intolleranti, volenti o nolenti, siano proprio i miei amici stranieri. “Intolleranti” più per necessità di differenziarsi che per motivi politici, come avviene per i veri intolleranti, gli Italiani, che magari sulla xenofobia costruiscono la propria immagine pubblica. Vedo i loro occhi carichi di sdegno quando passano vicino ai nugoli di stranieri che ciondolano nei luoghi pubblici, avverto un forte senso di impotenza ed a volte persino una difficoltà reale ad esprimere l’impossibilità di difendere i loro fratelli andati alla deriva.

Non saprei cosa fare, onestamente. Milano è un far west e non penso sia realmente colpa solo “degli altri” (meridionali o stranieri) come cercano di sostenere i Leghisti. Milano vede interi palazzi, anche non troppo lontani dal Centro, andare in crisi a per la speculazione di chi negli scorsi anni ha venduto sogni in cemento a chi non poteva permettersi davvero un mutuo, ma trovava una banca disposta a concederglielo. Quei palazzi, quelle aree urbane, quei quartieri, stanno andando in cancrena. E non è colpa degli stranieri, ma di noialtri che li abbiamo illusi e abbandonati.

La delicatezza intrinseca degli aerei

17 Aprile 2010

Arriviamo tranquilli, io e mia sorella, all’Aeroporto di Lamezia Terme. Sono le 6 e un quarto della sera di una domenica primaverile ed i nostri genitori ci accompagnano premurosamente al nostro volo comune per Roma, con successiva diramazione delle tratte successive. La tranquillità deriva anche dalla possibilità di fare il check-in al banco dedicato Alitalia, che ovviamente non ha troppa fila: faccio passare lei, poi rapidamente è il mio turno. L’hostess inizia a sudare freddo: il mio volo per Bologna ha cambiato aeromobile ed ora non c’è più posto, nonostante manchino oltre 3 ore alla partenza.

Intuisco che il mio primo esperimento di volare su Bologna invece che su Milano per raggiungere prima la sede del Cliente a Reggio Emilia non avrà molto successo; come beffa, dopo mezz’ora di attesa ed un salto in biglietteria Alitalia, il check-in viene eseguito proprio per Milano Linate. Imbarco senza speranza la valigia e non a caso, quando arrivo a mezzanotte a Linate con ampio ritardo, non la ritrovo affatto. Dopo file immense per le varie denuncie di smarrimento (praticamente tutto il Roma-Milano senza valigie), parto con una decina di persone in autobus per l’aeroporto di Bologna.

Mano a mano racconto le mie vicissitudini su FriendFeed, trovando orecchie amiche che mi consolano e mi sostengono, fino all’arrivo in treno (quasi alle 5 del mattino) a Reggio Emilia. Penso di essere stato sfortunato, ma ripenso a situazioni come la notte in aeroporto a Reggio Calabria ed inizio a sospettare che le situazioni assurde siano all’ordine del giorno. In effetti, leggendo assiduamente Giusec & frienz, mi rendo conto che i frequent flyers sono in balia continua degli imprevisti, che vanno dalle condizioni meteo alla perdita della valigia le uniche volte in cui non si ha il solo bagaglio a mano.

The Economist ha pubblicato questo banner nelle scorse ore sul proprio sitoPoi guardo il banner che The Economist ha pubblicato nelle scorse ore e penso che stavolta siamo ad un evento epocale per l’aviazione civile. Penso che il problema “logistico” di una delle riviste più importanti del mondo in questo momento lo stiano vivendo migliaia di imprese; da un lato, l’impossibilità di trasportare in tempo merce deperibile, dall’altra milioni di persone bloccate dal tornare in ufficio dalla trasferta o dalla vacanza. Dobbiamo essere felici che questo mega-blocco abbia colpito nel week-end: se continuerà da lunedì in poi, alcuni danni diventeranno memorabili.

Altro che 11 settembre, qui si sta parlando di decine di migliaia di voli aerei annullati in questi giorni e soprattutto senza troppo certezza sulla fine dell’emergenza. I rischi per gli aerei sono tali che da un lato ci si rende conto della delicatezza di questi bestioni volanti, dall’altro si ringrazia il sistema internazionale per essere così cautelativo da bloccare i voli prima che si possa verificare anche il minimo disguido. Certo, se a questa cautela si aggiunge la normale disorganizzazione che regna in scali come Roma Fiumicino, il tutto si fa troppo ingessato per essere efficiente.

Cosa succederebbe/succederà se la situazione di stallo perdurasse per qualche mese? Sicuramente molte delle nostre abitudini muterebbero: lavoro, vacanze, gestione delle emergenze cambierebbero volto e dovremmo imparare a gestire diversamente molte delle nostre attività, tranne una, la vita in Rete. Quella, bello o brutto da dirsi, è una delle poche cose che non risente dei voli interrotti: si può continuare ad inviare e-mail di lavoro o di piacere, fare videoconference tra colleghi e chiamate via IP tra fidanzati, condividere informazioni sui social network. E leggere The Economist.