70 anni (reprise)

19 Maggio 2023

Oggi mio padre ha festeggiato 70 anni: io non ci sono, come al solito. Avevo provato a prenotare un weekend con i miei genitori, come fatto per il compleanno di mia madre. Ieri però il volo è stato cancellato per colpa di uno sciopero e così eccoci mogi mogi a chiamarlo in videoconferenza. Non ci voleva: perché mi sarebbe piaciuto essergli vicino in questo momento simbolico, perché mi manca, perché Margherita vive aspettando di rivedere i nonni e ora l’attesa si allunga di mesi.

Per fortuna avevamo passato Pasqua insieme, dopo 3 anni consecutivi lontani. Ci tenevo a rivederlo dal vivo dopo le notizie sconvolgenti di fine anno, sperando di trovarlo in forma. Fa tenerezza vedere i propri genitori lottare contro le malattie, fa paura pensare di essere così lontani e non poterli aiutare. Dall’altra parte, sembra che anche loro si cruccino del non passare più tempo con le nipotine lontane e di non poter aiutare noi genitori nel crescerle, come avevano fatto i loro, di genitori.

Anche i genitori di Eva sono settantenni e stanno affrontando le loro vicissitudini di salute, peraltro dopo una vita difficilissima da missionari in territori indiani difficili come il Bihar. Sono sicuro che anche lei sia preoccupata come me nel vedere i propri genitori lontani e soli. I miei stessi genitori hanno sostanzialmente deciso di vivere la propria vita quotidiana in Calabria proprio per prendersi cura dei propri genitori: io non ho avuto questo coraggio e ora ho sensi di colpa formato XXL.

Tra quattro anni i miei genitori compiranno 50 anni di matrimonio. Spero che ci arriveremo tutti in salute: loro, le bambine, noi genitori, il resto dei (pochi) familiari. Così come indico i miei genitori e i genitori di Eva a Margherita come buoni esempi personali, vorrei poter indicarle anche le loro coppie come esempio di relazioni durature nel tempo, attraverso le avversità. Per arrivare allo stesso traguardo con Eva, io dovrei arrivare a vivere fino a 87 anni: piuttosto improbabile, temo.

Razionalità, assertività e remissività

29 Aprile 2023

Durante uno degli snodi professionali negli scorsi anni, una persona che avrebbe avuto la possibilità di farmi fare carriera mi aveva detto “non sei abbastanza assertivo”. Questa cosa della (mancata) assertività mi è rimasta impressa e mi torna in mente ogni volta che nei corridoi dell’azienda sento persone che la carriera l’hanno fatta e ora gridano tra di loro e coi collaboratori. In sintesi, ho capito che “assertività” nel linguaggio aziendale (italiano?) vuol dire imparare a gridare contro le persone.

Durante un litigio familiare, qualche giorno fa, a un certo punto mi difendevo sull’aver rimandato di un giorno un’attività domestica “perché era razionale” farlo: per evitare sprechi d’acqua ed elettricità, soprattutto. Mi è stato urlato “ma devi sempre essere razionale?” e io ho urlato contro un “sì”. Perché alla fine so urlare anch’io, ma questa presunta assertività la lego al fatto di essere razionali ad oltranza. Il che non vuol dire necessariamente essere nel giusto, ma costruire una barricata.

Durante gli ultimi giorni, ho dovuto subire altre decisioni, a volte guidate dal “per il quieto vivere”, a volte dal “per non dargli/darle contro”, a volte dal “si è sempre fatto così”. La cosa mi ha reso particolarmente triste, perché è sorprendente vedere come le persone difendano le proprie posizioni, anche quando si prova a far presenti che ci siano altre opzioni di migliore qualità o minor prezzo. Ma la testa dura funziona per imporsi; forse questa è assertività, anche in contesto non professionale.

Durante la mia vita, probabilmente sono stato troppo remissivo. Forse questo ha portato a mancate occasioni, frustrazioni e notti insonni. Potrei e vorrei migliorare, ma non riesco a cercare il conflitto o imporre la mia posizione come una clava. Beati quelli che ce le fanno: avranno le carriere che meritano e faranno le vacanze che vogliono. Io starò qui mogio ad aspettare la prossima discussione in cui agitare il fantasma della razionalità, che è decisamente più floscio di una clava.

Anche Marie Kondo si è arresa

25 Marzo 2023

Ricordo con una certa tenerezza le prime settimane di vita di Margherita, ospiti a casa dei miei genitori: si alternavano preoccupazioni e gioia, curiosità e stanchezza. Ricordo anche quest’immagine del lettone letteralmente coperto, durante il giorno, di decine di oggetti sparsi: vestitini, libricini, bavagli, biberon, giocattoli, accessori per l’allattamento al seno, pannolini e così ad libitum. Un disordine naturale, per una coppia che entrava in una fase completamente nuova della propria vita.

Oggi a casa nostra regnano pulizia e ordine, con Eva che lavora un sacco praticamente tutti i giorni. Certo, di tanto in tanto Margherita prende di mira il tappetone in salotto ricoprendolo di giocattoli e pupazzi. Certo, io creo entropia ovunque cercando di trovare un posto ai quintali di derrate alimentari comprate in giro per i supermercati. Certo, preparare una torta o fare “lavoretti” con Margherita è garanzia di delirio e cose sparse ovunque, ma poi in breve si può tornare alla normalità.

Il vero problema, più che altro, è che un trilocale inizia a essere stretto per tutte le cose che abbiamo, che compriamo, che creiamo. Qualche anno fa, Marie Kondo era particolarmente popolare perché cercava di convincerci a mettere ordine nelle nostre vite buttando via le cose superflue. Ora che è diventata madre, pare che anche lei si sia arresa e abbia abbracciato il concetto di “kurashi”, che sembra lasciare spazio a un approccio meno radicale all’ordine nelle abitazioni.

Coi figli, d’altronde, è davvero impossibile vivere in una casa non dico sterile, ma almeno ordinata. Ci si cerca, ma a volta capisco la frustrazione di Eva che si ritrova il mio stendino dei panni in mezzo ai piedi o i fogli coi “capolavori” di Margherita che svolazzano sul divano. La soluzione ovvia sarebbe una casa più grande, in cui magari ognuno di noi possa avere più spazio: ma sono abbastanza sicuro che ognuno di noi tre la riempirebbe in breve tempo di libri, vestiti, cibo, oggetti, accessori e molto altro.

Pausa pranzo e buoni pasto

19 Febbraio 2023

Mi è caduto l’occhio su un articolo di Mattia Carzaniga che commenta la sua decisione di non pranzare durante le giornate lavorative, piuttosto che ricorrere allo squallore delle pause pranzo a Milano. Concordo con lui che ci sia poco da scegliere tra i baretti dalla bassissima qualità e la schiscetta puzzona con gli avanzi mezzi marci.

Anch’io ho ormai preso la decisione di non pranzare: piuttosto, uso la “pausa pranzo” come spazio temporale per rompere la monotonia di una giornata davanti al PC e uscire. In questi casi faccio una passeggiata verso i supermercati della zona, per comprare qualcosa di utile per le cene dei giorni successivi. E spendere buoni pasto.

Ho infatti accumulato centinaia di ticket restaurant: prima di sposarmi i miei mi davano una mano a smaltire quelli cartacei; poi nei primi mesi lontano da Eva riuscivo a usarne qualcuno intorno all’ufficio. Negli anni successivi, complice anche il Coronavirus, l’accumulo di tagliandi virtuali ha raggiunto livelli imbarazzanti.

Durante la settimana Eva cucina una buona cena; spesso faccio anche una colazione salata, ad esempio con delle uova. A pranzo, senza troppa fame, sgranocchio qualcosa: d’altronde, facevo lo stesso negli anni in cui andavo in giro per l’Italia e cenavo al ristorante. Forse solo la disponibilità di una mensa cambierebbe le mie pause pranzo.

Intelligenza artificiale e digital human

18 Gennaio 2023

Oggi, con un evento per la maggior parte digitale (ma con una “produzione” professionale molto concreta, con troupe, regista e così via), si è conclusa un’attività che mi è sembrata durare un’eternità, anche se poi a guardare il calendario si è trattato di pochi mesi. Ho passato molto tempo ad “allenare” e testare l’intelligenza artificiale alla base di un “digital human”. Detto così può sembrare molto avveniristico, anche se poi l’attività lato mio era molto banalmente fatta di Excel, file Json e Pdf che giravano via e-mail.

Qual era lo scopo di questa attività? Arrivare appunto a presentare nell’evento odierno un essere digitale che rispondesse con voce naturale a domande poste al microfono da esseri umani. L’argomento era abbastanza circoscritto, anche per evitare sfondoni: le intelligenze artificiali in effetti non sono ancora molto intelligenti ed è un attimo che partano per la tangente nelle risposte. A volte basta un errore di interpretazione di quanto proposto loro in input per ottenere risultati che si potrebbero definire divertenti, o drammatici.

La sensazione ottenuta dal risultato, infatti, cambia a seconda del contesto. Se con la sua sicumera il digital human blatera di cose che non conosce davvero un sorriso lo strappa; però se la stessa cosa avviene in un contesto sanitario, i suoi errori (magari nascosti appunto dal piglio sempre sicuro di sé) potrebbero avere effetti devastanti. D’altra parte, la retorica che tutti i gruppi tecnologici usano è “tranquilli, l’AI non distruggerà lavoro, sarà solo la nostra assistente”. In realtà, al momento siamo noi gli assistenti, contro gli strafalcioni.

Certo, il successo improvviso e globale di ChatGPT fa capire quanto interesse ci possa essere verso questi strumenti, in ambito non solo aziendale ma anche consumer. In Cina, Giappone o Corea del Sud, non è difficile immaginare che intelligenze artificiali e digital human diventeranno la quotidianità in diversi settori, in breve tempo. Europa e Stati Uniti brancolano un po’ al seguito, ma è la stessa sensazione del pre-iPhone: arriverà la Apple di turno con l’iPhone di turno e tutto all’improvviso sembrerà facile e indispensabile.