Don’t Think Of Me

29 Luglio 2002

Date un occhio a questo testo… È sicuramente la canzone che m’ha colpito di più dell’album di Dido, ascoltato 239203902302022 volte nel week-end, tanto da aver rotto il DVD player del notebook (anche se già non era molto in forma di suo )…

Dedicato alla persone cui ho ininterrottamente pensato nel week-end, travolto dai ricordi e dai dubbi. E questa persona a tutti penserà tranne che a me…

Essere maturi… Essere adulti…

22 Luglio 2002

Ho letto di là ed ho pensato a me.

In realtà non c’entra niente con me quello che hai scritto… Però ho pensato alla differenza che c’è fra l’essere maturi e l’essere adulti… Soprattutto il sentirsi adulti.

Sono sempre stato molto maturo… In certi momenti troppo.

Quando si è piccoli la maturità è spesso causa di un processo di razionalizzazione dilagante e continuo… Che ti permette di allontanarti dalle cose, guardarle, capirle e risolvere… Per te e per gli altri.

Perdi la spontaneità e l’istinto… O meglio, impari a subordinarli e a sottoporli al vaglio della ragione… Impari ad essere istintivo quando è utile o piacevole… Impari a essere spontaneo quando è utile o piacevole.

Però non vivi male.

Gli altri ti stimano. Quelli della tua età perchè gli cammini sempre davanti… Se sei intelligente cammini con loro se ne hanno bisogno e in men che non si dica sei il loro migliore amico, il confidente migliore, amico, fratello, spalla e ragazzo.

Quelli più grandi di te perchè sei al passo con loro malgrado l’età… se non addirittura oltre.

Poi col tempo impari così bene a riconoscere e categorizzare che arrivi a prevedere… Basta esplicitare le previsioni che sei quasi magico… O almeno speciale.

Ma l’essere adulti? E sentirsi adulti?

L’essere adulti comprende gli altri… E ci si sente adulti proprio in relazione agli altri.

In relazione alla strada che siamo capaci di percorrere con gli altri infondendo loro sicurezza… E non dandogli soluzioni.

Non mi ero mai sentito veramente adulto fino a che non ho iniziato a lavorare con i bambini.

Probabilmente il loro spirito puer ha potenziato il mio puer affievolito riequilibrando e moderando quel senex egocentrico… Che ormai mi rappresentava… Il senex della mia maturità precoce.

Scoprire di essere capace di dargli conforto… Di poter essere “porto a cui fare ritorno” per ripartire ancora e non per sostare aspettando soluzioni… Scoprirmi capace… Buon improvvisatore… istintivamente abile e attivo e spontaneamente spontaneo… Vedermi deciso… Infaticabile… Lontano dal pensiero che in ogni caso ci sarebbe stato l’aiuto di mamma o papà… Ha cambiato tutto il mio stare e il mio pensare.

Per la prima volta mi sono sentito effettivamente adulto.

Padrone di tutta la mia vita.

Meglio di prima?

Peggio di prima?

Semplicemente diverso e più attuale… Per me, ora.

“Essere porto… ”

Esserci.

Nello sguardo di un bambino la mia vita è cambiata… Nel riflesso di quegli occhi che chiedevano la protezione di un abbraccio caldo e la stabilità di una presenza efficace ho trovato una parte di me che mancava… Il sentirmi adulto.

Tutto adesso passa attraverso questa prospettiva… Esposta al cambiamento oggi, come sempre.

È stato un po’ come il passaggio dalla teoria alla pratica… Dalla teoria alla pratica dell’essere “grandi”.

L’essere maturi una buona teoria… L’essere adulti una buona pratica… Momenti essenziali di uno stesso processo.

Per ognuno ci sarà una molla, immagino.

Magari dipendente da altri aspetti della personalità… A me serviva un bambino… Un figlio (seppur con le dovute differenze).

Buona Notte ex…

Spostiamo in avanti la lente

21 Luglio 2002

Il problema della serata: continua il dolore all’alluce destro, un giovane amico del Niji-Kan mi ha raccontato qualche aspetto della sue esperienza e temo di avere problemi simili ai suoi, con tanto di prevedibile operazione…

Visto che un altro giorno è iniziato e dovrebbe esser l’ultimo con la flat ne approfitto per scrivere ulteriori 2 righe sui temi degli scorsi giorni…

I miei genitori si sono sposati nel giugno ’77: mio padre aveva dunque 24 anni appena compiuti e mia madre 24 e mezzo. Cioè la mia età tra qualche mese. Ma ovviamente “ex sposato” mi sembra un’ipotesi surreale. Ancor più pensare che mio padre mi ha visto nascere un anno e mezzo dopo, quindi all’età di 25 anni e mezzo. Inquietante pensarmi tra meno di 2 anni con un Giuseppe Jr. tra le braccia…

Eppure molti mi fanno notare come fino a qualche decennio fa, a 20 anni si era adulti. Le donne magari avevano già un paio di figli, gli uomini lavoravano full time. Oggi ovviamente molti si laureano, quindi l’età si sposta in avanti. Ma mi rendo conto che le mie coetanee che stanno per sposarsi o l’hanno già fatto mi terrorizzano.

Forse è un problema di “traguardi”… Il mio “traguardo” a brevissimo è “fare una famiglia”? No, assolutamente. Tuttavia, farei fatica a capire quale potrebbe essere. Ho aspirazioni? Sì, no, boh… In ufficio la battutona più diffusa è diventata “Che vuoi fare da grande?” con tanto di mia risposta diplomatica “Non penso di rimanere qui oltre agosto”, tanto per essere buoni e non dire cosa penso davvero del lavoro che sto facendo…

L’altro giorno ho raccontato al mio fido assistente la storia di Monfiana, almeno quella prima di incontrare me: è rimasto incredulo, perché gli spiegavo quanto lei fosse brava a scuola, che avrebbe voluto fare l’università e si è ritrovata sposata etcetera. E Monfiana si è sposata molti anni fa.

La prima a sposarsi del ’78, tra le mie conoscenti, fu Maria. Era una mia compagna alle scuole medie, ed ovviamente avevo avuto una mezza cotta, probabilmente colpito dal suo seno matronale (a 12 – 13 anni… ). Mentre assistevo casualmente al suo matrimonio, sussurravo tra me e me “Ma chi te l’ha fatto fare?” riferendomi alla sua scelta di sposarsi (avrà avuto 20 anni). Anche lei brava a scuola, comunque sarebbe potuta andare avanti negli studi o trovare un lavoro, ma perché voler fare la casalinga full time a 20 anni?

OK, spostiamo di 5 o 6 anni il punto, fin dopo la laurea. Ma cosa cambia? Sposarsi a 19 anni o a 24 non è la stessa cosa? E sposarsi a 30, in cosa è diverso? Cosa cambia in noi, oltre all’aspetto fisico?

Son curioso di rivedere l’album sul matrimonio dei miei: son sicuro che rimarrò scioccato, perché per la prima volta li vedrò come coetanei… Così come rimango sconvolto guardando alcune starlette e pensando “ma sono ragazzine”.

Sto crescendo… Ma poco, e male.

Primi contatti con l’India

20 Luglio 2002

Avantieri sera sono arrivato a casa bagnato, bagnato fradicio. Acqua “a secchi”, ma non potevo fermarmi, con la mia t-shirt e il mio paccone. La roba che era nel pacco potrei tranquillamente buttarla, bagnata anch’essa. Ho postato quanto scritto in treno… Come sempre senza volerlo “riguardare”: lo facevo sempre, anche al Liceo. Magari correggevo qualche errore di battitura, ma scrivevo sempre “in bella”. Lo scrivere per me è l’espressione di ciò che “deve” traboccare all’esterno: la vita non concede “brutte copie”.

Ieri mattina ho scritto le mie elucubrazioni su giovani donne e giovani uomini e ieri sera avrei dovuto scrivere il resto. Eppure, arrivato di nuovo “di notte” da Venezia, ho osservato il form vuoto della Cuccia e mi son fermato. Di cose vorrei scriverne tante. Ma è questo lo spazio adatto? Ed è la scrittura ciò che mi serve? O parlare? E chi “potrebbe” ascoltare, perché “dovrebbe” farlo?

Ora sono per l’ennesima volta di ritorno da Venezia, anzi da Mestre (inaugurazione della seconda mostra “Auroville”), anche se prima di postare mi son addormentato (non funzionava la connessione)… In questi giorni ho osservato un paio di giovani donne indiane e gli italiani là “emigrati”, quelli che avrei dovuto andare a “trovare” in India. Tutti mi consigliano di andarci… Ma quando, come?

Strane, queste “ragazze” indiane. Eppure anche loro mi facevano venire in mente i pensieri di cui scrivevo l’altra sera. “Loro” sono donne, io sono tendenzialmente un ragazzino. Ieri sera venivo presentato a delle autorità e tendenzialmente la reazione era del tipo “questo ragazzino in giacca e cravatta è un professionista (laureato!) o uno che è uscito dalla cerimonia della Cresima?”…

OK la faccia da ragazzo coi capelli bianchi ma la sensazione è che anche “dentro” sia rimasto troppo “giovane” rispetto a chi mi circonda. Parlavo nel titolo di immaturità congenita: strano a dirsi, visto che per 20 anni son stato tacciato di comportarmi troppo da “grande” rispetto alla mia età…

E le ragazze stanno là… Si laureano, si sposano, fanno figli… E a me sembrano così giovani, nemmeno riesco a immaginarle col pancione… A tratti non riesco nemmeno ad immaginarle mentre… Ahem… Eppure hanno 24, 25 anni. Non sono affatto ragazzine.

Sto qua, insomma… Nel senso di immobile, a cercare di capire cosa voglia dire “crescere”. Ieri ho deciso di andarmene a Milano e ho scandagliato un po’ per i siti immobiliari. Lo farò davvero? Non ne ho nessuna voglia, Milano non mi piace.

Ma questo discorso sulle giovani donne e i giovani uomini andrebbe continuato… Lo farò presto, anche se la flat sta finendo e mi toccherà connettermi dall’ufficio. Anche se penso di mandare in riparazione il notebook, e quindi le ipotesi di “papariamento” si riducono ulteriormente…

Sindrome post mortem, (giovani) donne sposate, (im)maturità congenita

19 Luglio 2002

Scrivo mentre sono su un regionale notturno di ritorno da Venezia, invitato a cena da mia sorella. Piove, piove, piove… E io sono con un pacco ingombrante con cui mia madre mi ha inviato mutande pulite e altre amenità simili.

Torno col pensiero ad una chiacchierata con Marco, un vecchio amico psicologo, svoltasi qualche giorno fa. Non parlavamo (via MSN Messenger) da mesi… Praticamente da febbraio scorso. Mi ricordava innamoratissimo, in attesa messianica dell’incontro con Monfiana rinviato da mesi. Tutto sommato, mi ricordava felice: è vero che anche allora ero triste di non poter incontrare la donna che amavo, ma in qualche modo eravamo ancora in contatto, il lavoro camminava tranquillamente e alla tesi pensavo di striscio.

È rimasto stupito dall'”ascoltarmi”, mi ricordava “diverso”. Gli ho parlato delle lotte (e delle delusioni) pro tesi, dei problemi per il lavoro, della preoccupazione per il dover tornare a vivere (seppur temporaneamente) in Calabria… Non avevo ancora parlato di Monfiana quando lui mi ha chiesto “Non vorrei essere indiscreto, ma ti è morto qualcuno?”…

Son rimasto stupito io, allora. “No, non mi è morto nessuno, grazie a Dio”… Poi, scava scava, è venuto fuori il discorso – Monfiana, ed è stata una voragine. Mi ha fatto una serie di domande ben precise (fin troppo professionali, da psicologo o ancor più da psicanalista direi, ma vabbé) e ha addirittura emesso una diagnosi… Soffrirei di sindrome post traumatica, detta comunemente “post mortem” proprio perché affligge chi ha sofferto recentemente un lutto doloroso.

Il “lutto”, va da sé, sarebbe quello di Monfiana. All’inizio dicevo “Sì, OK, però…” poi effettivamente m’ha convinto. La scomparsa improvvisa di Monfiana, il silenzio che ha ucciso il nostro rapporto, forse son stati davvero un “lutto”. Proprio oggi ri-ri-pensavo a lei. Guardavo le sue foto, tutte, come non era successo “da allora”, da aprile. Mi son reso conto che l’aver iniziato a scrivere la tesi il 1° aprile (era già iniziato il grande silenzio) e averla portata avanti questi mesi, insieme alla fine dei lavori a Venezia, era stata una sorta di antidoto contro il dolore, contro il ricordo.

Ora la voragine sta di nuovo là, ed oggi è stato un tarlo insaziabile. “Cos’è successo, tra marzo e aprile?” Un dubbio che mi tormenta, mi scava dentro dopo che per oltre 2 mesi era stato accantonato “per forza”.

Mi rendo conto di pensare a lei, effettivamente, come si penserebbe ad una persona amata, amatissima, cui qualcuno ha tolto la vita. Una comunicazione interrotta all’improvviso… In tema di ricordi, mi son ricordato i visi delle vittime della mafia… Avrò avuto 10 anni, era il periodo tragico di rapimenti e morti ogni giorno… E questo documentario su Sette (il magazine del TG1 che veniva trasmesso alla fine degli anni Ottanta / primi Novanta) mostrava queste persone (soprattutto donne) distrutte per aver perso all’improvviso i loro compagni, magari vittime casuali di un attentato mal riuscito.

Qualcosa oggi mi fa sentire in quel modo… È vero che lei vive, e magari è felicissima. Ho visitato oggi il suo sito, e ho visto le modifiche alla sua pagina… Mi sembrano di segno positivo, e questo mi fa intuire che il suo umore è ottimo.

Ma per me… È una voce silenziosa, un’incognita del passato di cui non mi capacito. Con le altre “ex” (le note “ex di ex”, detta così sembra un’attrazione tipo Disneyland) ho rapporti. Magari non le sento per mesi, poi basta un e-mail o una telefonata per renderci conto di essere buoni amici… Ogni tanto salta alla mente qualche ricordo imbarazzato “a quel periodo che” ma è un momento come un altro (ovviamente per me molto importante) nella vita di chi mi ha accompagnato dal 1994 ad oggi. È vero che i rapporti con loro erano molto più “adolescenziali”, ma c’era comunque un certo affetto reciproco…

Monfiana… L’ho amata, e oggi mi son reso conto che continuo a volerle tanto bene. Guardavo le sue foto come una sorella scomparsa forse ancor più che come una compagna scappata. Spero seriamente sia felice, ma è stato quel misterioso addio a segnarmi, in profondità. Forse il buon Marco ha ragione, quando supererò il trauma, mi sarò capacitato che lei grazie a Dio è viva e felice e non è un fantasma da sognare… Quando ciò avverrà, potrò ritornare a “vivere”.

Può essere.

Il suo consiglio è stato di chiamarla, di scriverle, di chiederle come favore di riallacciare un’amicizia. Gli ho detto che è impossibile, perché le ho promesso che non l’avrei mai più disturbata. L’ho fatto a giugno per invitarla (seriamente, anche se ovviamente era una speranza disperata) alla laurea, e il suo e-mail di risposta è stato senza dubbio il regalo più bello. È viva, mi ha fatto gli auguri. Era, in fin dei conti, l’ultimo momento che poteva darmi motivo di “parlarle”: invitarla a qualcosa di cui avevamo parlato tante volte, che concludeva una fase importante della mia vita. Ora non ci lega più nulla: da parte mia tanti meravigliosi ricordi.

Degli ultimi mesi, invece, ho ricordi “da incubo”. È stata una fitta al cuore il momento preciso in cui son stato bloccato sul Messenger. Una tra le tante fitte, ma non è Monfiana la colpevole, ovviamente. Sono io stesso, in fin dei conti, che mi pugnalo allegramente. Una mia regola comportamentale sulla Rete è di non contattare mai nessuno sui vari istant messenger. L’ho infranta una volta, il giorno dopo che Monfiana mi aveva comunicato via e-mail che “era finita” (ma non mi rispose), e temo mi sia costata cara. Son stato bloccato qualche tempo dopo, e questo mi ha fatto ancora più male, forse. Eppure sarebbe bastato vederla là, Monfiana… Ogni tanto vedo le persone amiche comparire on line e mi strappano un sorriso. Ovviamente chi mi contatta di solito mi rende felicissimo, entusiasta. Ma c’è anche chi è sempre rosso… Due – tre persone… I 2 account di Monfiana (uno ha ancora il nome del marito!), magari ogni tanto qualcuno conosciuto negli scorsi mesi che vuole prendersi una vacanza da ex…

Perché scrivo queste cose? Boh… Probabilmente nemmeno reggerei ad una discussione con Monfiana… Sarei felice, imbarazzato, confuso… Allora resto qua, a pensare al fantasma della persona che tanto ho amato.

Nel frattempo invecchio, e mi rendo conto di quanto sia maturato proprio in base a quell’esperienza. Non abbastanza, forse, se è vero che sto incontrando persone coetanee sposate (specie ragazze, l’ultima stasera nella residenza di mia sorella) e rimango colpito, sconvolto direi. Queste mie coetanee sorridono e parlano “di Luca” (ieri sera) o “di Roberto” (stasera) e così via, discettano di trasferimenti e lavori e felicità o figli.

Il treno arriva a Padova, dopo 40 minuti… E io non sono arrivato da nessuna parte.