Scrivo mentre sono su un regionale notturno di ritorno da Venezia, invitato a cena da mia sorella. Piove, piove, piove… E io sono con un pacco ingombrante con cui mia madre mi ha inviato mutande pulite e altre amenità simili.
Torno col pensiero ad una chiacchierata con Marco, un vecchio amico psicologo, svoltasi qualche giorno fa. Non parlavamo (via MSN Messenger) da mesi… Praticamente da febbraio scorso. Mi ricordava innamoratissimo, in attesa messianica dell’incontro con Monfiana rinviato da mesi. Tutto sommato, mi ricordava felice: è vero che anche allora ero triste di non poter incontrare la donna che amavo, ma in qualche modo eravamo ancora in contatto, il lavoro camminava tranquillamente e alla tesi pensavo di striscio.
È rimasto stupito dall'”ascoltarmi”, mi ricordava “diverso”. Gli ho parlato delle lotte (e delle delusioni) pro tesi, dei problemi per il lavoro, della preoccupazione per il dover tornare a vivere (seppur temporaneamente) in Calabria… Non avevo ancora parlato di Monfiana quando lui mi ha chiesto “Non vorrei essere indiscreto, ma ti è morto qualcuno?”…
Son rimasto stupito io, allora. “No, non mi è morto nessuno, grazie a Dio”… Poi, scava scava, è venuto fuori il discorso – Monfiana, ed è stata una voragine. Mi ha fatto una serie di domande ben precise (fin troppo professionali, da psicologo o ancor più da psicanalista direi, ma vabbé) e ha addirittura emesso una diagnosi… Soffrirei di sindrome post traumatica, detta comunemente “post mortem” proprio perché affligge chi ha sofferto recentemente un lutto doloroso.
Il “lutto”, va da sé, sarebbe quello di Monfiana. All’inizio dicevo “Sì, OK, però…” poi effettivamente m’ha convinto. La scomparsa improvvisa di Monfiana, il silenzio che ha ucciso il nostro rapporto, forse son stati davvero un “lutto”. Proprio oggi ri-ri-pensavo a lei. Guardavo le sue foto, tutte, come non era successo “da allora”, da aprile. Mi son reso conto che l’aver iniziato a scrivere la tesi il 1° aprile (era già iniziato il grande silenzio) e averla portata avanti questi mesi, insieme alla fine dei lavori a Venezia, era stata una sorta di antidoto contro il dolore, contro il ricordo.
Ora la voragine sta di nuovo là, ed oggi è stato un tarlo insaziabile. “Cos’è successo, tra marzo e aprile?” Un dubbio che mi tormenta, mi scava dentro dopo che per oltre 2 mesi era stato accantonato “per forza”.
Mi rendo conto di pensare a lei, effettivamente, come si penserebbe ad una persona amata, amatissima, cui qualcuno ha tolto la vita. Una comunicazione interrotta all’improvviso… In tema di ricordi, mi son ricordato i visi delle vittime della mafia… Avrò avuto 10 anni, era il periodo tragico di rapimenti e morti ogni giorno… E questo documentario su Sette (il magazine del TG1 che veniva trasmesso alla fine degli anni Ottanta / primi Novanta) mostrava queste persone (soprattutto donne) distrutte per aver perso all’improvviso i loro compagni, magari vittime casuali di un attentato mal riuscito.
Qualcosa oggi mi fa sentire in quel modo… È vero che lei vive, e magari è felicissima. Ho visitato oggi il suo sito, e ho visto le modifiche alla sua pagina… Mi sembrano di segno positivo, e questo mi fa intuire che il suo umore è ottimo.
Ma per me… È una voce silenziosa, un’incognita del passato di cui non mi capacito. Con le altre “ex” (le note “ex di ex”, detta così sembra un’attrazione tipo Disneyland) ho rapporti. Magari non le sento per mesi, poi basta un e-mail o una telefonata per renderci conto di essere buoni amici… Ogni tanto salta alla mente qualche ricordo imbarazzato “a quel periodo che” ma è un momento come un altro (ovviamente per me molto importante) nella vita di chi mi ha accompagnato dal 1994 ad oggi. È vero che i rapporti con loro erano molto più “adolescenziali”, ma c’era comunque un certo affetto reciproco…
Monfiana… L’ho amata, e oggi mi son reso conto che continuo a volerle tanto bene. Guardavo le sue foto come una sorella scomparsa forse ancor più che come una compagna scappata. Spero seriamente sia felice, ma è stato quel misterioso addio a segnarmi, in profondità. Forse il buon Marco ha ragione, quando supererò il trauma, mi sarò capacitato che lei grazie a Dio è viva e felice e non è un fantasma da sognare… Quando ciò avverrà, potrò ritornare a “vivere”.
Può essere.
Il suo consiglio è stato di chiamarla, di scriverle, di chiederle come favore di riallacciare un’amicizia. Gli ho detto che è impossibile, perché le ho promesso che non l’avrei mai più disturbata. L’ho fatto a giugno per invitarla (seriamente, anche se ovviamente era una speranza disperata) alla laurea, e il suo e-mail di risposta è stato senza dubbio il regalo più bello. È viva, mi ha fatto gli auguri. Era, in fin dei conti, l’ultimo momento che poteva darmi motivo di “parlarle”: invitarla a qualcosa di cui avevamo parlato tante volte, che concludeva una fase importante della mia vita. Ora non ci lega più nulla: da parte mia tanti meravigliosi ricordi.
Degli ultimi mesi, invece, ho ricordi “da incubo”. È stata una fitta al cuore il momento preciso in cui son stato bloccato sul Messenger. Una tra le tante fitte, ma non è Monfiana la colpevole, ovviamente. Sono io stesso, in fin dei conti, che mi pugnalo allegramente. Una mia regola comportamentale sulla Rete è di non contattare mai nessuno sui vari istant messenger. L’ho infranta una volta, il giorno dopo che Monfiana mi aveva comunicato via e-mail che “era finita” (ma non mi rispose), e temo mi sia costata cara. Son stato bloccato qualche tempo dopo, e questo mi ha fatto ancora più male, forse. Eppure sarebbe bastato vederla là, Monfiana… Ogni tanto vedo le persone amiche comparire on line e mi strappano un sorriso. Ovviamente chi mi contatta di solito mi rende felicissimo, entusiasta. Ma c’è anche chi è sempre rosso… Due – tre persone… I 2 account di Monfiana (uno ha ancora il nome del marito!), magari ogni tanto qualcuno conosciuto negli scorsi mesi che vuole prendersi una vacanza da ex…
Perché scrivo queste cose? Boh… Probabilmente nemmeno reggerei ad una discussione con Monfiana… Sarei felice, imbarazzato, confuso… Allora resto qua, a pensare al fantasma della persona che tanto ho amato.
Nel frattempo invecchio, e mi rendo conto di quanto sia maturato proprio in base a quell’esperienza. Non abbastanza, forse, se è vero che sto incontrando persone coetanee sposate (specie ragazze, l’ultima stasera nella residenza di mia sorella) e rimango colpito, sconvolto direi. Queste mie coetanee sorridono e parlano “di Luca” (ieri sera) o “di Roberto” (stasera) e così via, discettano di trasferimenti e lavori e felicità o figli.
Il treno arriva a Padova, dopo 40 minuti… E io non sono arrivato da nessuna parte.