Le mie tre scrivanie lombarde

30 Novembre 2005

La prima, quella che mi piace di più, in realtà  non è affatto mia: è dei ragazzi dell’Agenzia pubblicitaria che, sin da quando abbiamo iniziato a collaborare a giugno, mi hanno accolto con molta disponibilità  nel loro gruppo di lavoro, sebbene fossi là ufficialmente come rappresentante di un’altra società  del Gruppo e praticamente di un altro mondo professionale ancora. La scrivania è bianca e spartana ed è sempre difficile trovare un cavo di rete funzionante tra i quattro disponibili: ma è un ambiente che sento amico e che, nemmeno tanto segretamente, amo ed invidio.

La seconda scrivania dovrebbe essere quella ufficiale, peccato che in realtà  non esiste. Dovrebbe essere una delle sei disponibili nell’ufficio più grande della società  con la quale collaboro a Milano: peccato che storicamente sono occupate da consulenti “milanesi” di lunga data che saltuariamente ricompaiono ed ovviamente ti mettono a disagio. Cosà finisco a vagare tra le varie disponibili sperando che non arrivi proprio quel giorno il legittimo proprietario. I colori tenui dell’ambiente dovrebbero proiettare un’idea abbastanza sterile del tutto: peccato che regni sovrana la confusione legata al trasloco ormai avvenuto parecchi anni fa. Per fortuna ieri sono arrivate delle nuove sedie: un tocco di verde più acceso di quello smorto delle precedenti.

L’ultima scrivania è a Bergamo ed è quella che in questi giorni sto cominciando ad utilizzare in vista del trasferimento fisico, anche in termini di alloggio, che si avvierà  nel mese di dicembre. Si tratta in realtà  di una scrivania occupata dai case dei PC degli “abitanti” delle scrivanie vicine e di varie cianfrusaglie accumulate come tradizione in ogni ufficio sulla scrivania più vuota del momento. Seduta di fronte a me c’è una delle persone più professionali e simpatiche del Cliente: speriamo si riesca a lavorare insieme senza intralciarsi a vicenda. Certo, sarà  un po’ difficile visto che non ho né una connessione, né un telefono, né una stampante a disposizione.

Ho già  avuto tante altre scrivanie, nel passato. Ad ognuna sono legati ricordi, arrabbiature, soddisfazioni: per chi come me ha sempre lavorato con PC portatili e dal Cliente di turno, sono state di volta in volta una piccola grande conquista ed un segno di stabilità  acquisita, seppur temporaneamente. In questo momento, mi sembra evidente, di stabilità  ne vedo molto poca: chissà  cosa succederà  nei prossimi mesi. Se poi arriverà  un evento clamorosamente bello a cambiarmi la vita, tanto meglio: voglio conservare almeno questa remotissima speranza.

Giornate piene, vita vuota

9 Novembre 2005

Un’amica virtuale, stufa dei continui pacchi ricevuti per un semplice aperitivo, mi chiedeva ieri per e-mail “Ma tu che fai nella vita per essere così impegnato?” ed io, nicchiando, le citavo il lavoro che, con Global Verve, svolgo per il grande Gruppo di consulenza che, a sua volta, mi ha affidato delle responsabilità in un Progetto del Cliente. “Lavoro nella consulenza strategica” vuol dire tutto e niente, ma fa sempre chic: peccato che poi, nella realtà quotidiana, è un lavoro di una banalità disarmante. Si rimane sconvolti a vedere come, per i Clienti, le invenzioni più ovvie dei consulenti sembrano essere scoperte meravigliose ed, ovviamente, strapagate.

Come è successo nell’unico (inutile) colloquio di lavoro fatto in vita mia, a volte mi chiedo cosa dovrei rispondere a chi mi chiede “Descrivimi una tua giornata tipo”. Semplicemente, non ho una giornata tipo: l’unica cosa che le accomuna tutte sono gli orari massacranti, i pasti saltati, le tante ore davanti al PC. Il resto è imprevedibile e questo, nel bene e nel male, è forse la cosa che più convince a rimanere, dopo tanti anni, a fare questo lavoro. Peccato solo di aver ceduto la mia libertà di azione a favore dell’inserimento in una struttura notevolmente più ampia. Si tratta di una situazione temporanea, comunque: quando sbrocco, lascio.

Una volta sveglio, stamattina, ho guardato la posta con la connessione GPRS che, da un paio di mesi, ho avuto la simpatica idea di sottoscrivere: fino a dicembre è in promozione, poi saranno dolori. La cosa positiva di questa connessione via cellulare, però, ho la possibilità di essere (lentamente) in Rete anche in treno o dall’Oasi dove alloggio a Milano. Non utilizzo palmari né computer fissi: preferisco la via di mezzo, un portatile abbastanza potente da fare le funzioni di desktop replacement.

Uscito di casa, inizio a ricevere le prime telefonate per fissare un incontro sul Knowledge Management System del Gruppo in tarda mattinata. Arrivo nell’Agenzia parte del Gruppo e “mi allineo” (argh) con l’Account che segue le attività dal Cliente. Quando ormai l’orologio è vicino a mezzogiorno, arrivo in ufficio. Chiamo il CapoProgetto del Cliente e mi becco una ramanzina conto terzi di mezz’ora causa incomprensioni con l’Agenzia. Nel frattempo, correggo ulteriormente una bozza di verbale che un povero consulente junior ha preparato aspettando le mille correzioni dei suoi responsabili. Nel frattempo, noto che la persona con cui devo parlare a proposito del KMS è seduta di fronte a me, ma non sono ancora riuscito a dirgli niente.

Chiama il partner dell’altra società del Gruppo che i lettori della Cuccia hanno conosciuto ormai molti mesi fa, quand’ero a Roma. Mi chiede di poter andare domani e dopodomani a Torino per fare formazione su un vecchio Progetto che avevo seguito ad aprile. Gli do la disponibilità ed inizio il giro delle sette chiese per comunicarlo, visto che alla fine sarà un’attività in più da cui io non otterrò benefici ma sola tanta stanchezza: il guadagno semmai è di chi mi “venderà” a quest’altra società. Nel frattempo l’omino del KMS mi guarda speranzoso. Gli dedico qualche minuto mentre scopro che la mia presenza a Bergamo alla riunione delle 14 è necessaria. Grrrr.

Riesco a tornare all’Agenzia e rubare un passaggio al volo in auto, durante il quale riesco ad accennare all’Account i problemi col Cliente ed a ricevere un numero infinito di telefonate: il cellulare è ormai scarico. Arriviamo a Bergamo e riesco a mangiare un’orripilante insalata di fronte ad una delle sedi del Cliente. Durante la riunione, scopro che ovviamente la mia presenza è superflua, visto che si tratta di un incontro operativo su un Progetto per di più diverso da quello che seguo io. Ne approfitto per lavorare su un altro documento che riesco a mandare da una workstation del Cliente prima di correre in Stazione.

Ora, sono in treno sul ritorno da Bergamo. All’arrivo in ufficio dovrò scaricare le svariate decine di MegaByte del materiale per il ciclo di formazione a Torino, dovrò terminare un verbale sull’incontro con il management di ieri e dovrò spostare una riunione col Cliente che doveva tenersi oggi alla prossima settimana, convocando alla fine anche lo Stato Avanzamento Lavori interno per lunedì. Ovviamente, riceverò e farò altre mille telefonate, come già è avvenuto mentre scrivevo questo post. Alla fine, il limite imposto dall’Oasi fa sì che alle 22 dovrò uscire a forza dall’ufficio in modo da arrivare là entro le 23, onde evitare di dormire all’addiaccio.

Se sarà necessario, come al solito, lavorerò un po’ da casa. Domattina sveglia alle 5 e mezzo per prendere il treno alle 7 ed essere a Torino alle 9 in punto, ovviamente arrivando in ritardo dal Cliente ma non potendo fare diversamente. Sarà una giornata intensa anche domani, visto che finita la sessione formativa dovrò tornare in ufficio a Milano. E così via, in un ciclo infinito di riunioni, verbali e telefonate. Come al solito, continuerò a tirare pacchi alla mia amica virtuale: quanta intensità mettiamo nel lavoro, per sopperire alla vacuità della nostra vita.