Il decalogo della barca a vela per impiegati

31 Marzo 2007

Una foto del Grampus durante la nostra navigazioneVisto che a leggere l’analisi del traffico sulla Cuccia i decaloghi sembrano essere amatissimi dagli italiani, ecco un nuovo elenco destinato a svelare i segreti della barca a vela a chi avrà la possibilità di passarvi un week-end sopra come è successo a me, che sono un imbranato totale, un montanaro involontario ed un impiegato metalmeccanico, non di certo un vip. Ammetto che mangerei pesce a colazione, pranzo e cena tutti i giorni, ma mi sa che questo non è sufficiente per potermi esattamente definire un tritone. Perciò perdonatemi per lo “spessore” delle immagini verbali che seguiranno. A dire il vero in giro per la Rete ci sono anche le immagini reali della mia esperienza a Genova e dintorni, ma non le linko per nessuna ragione: potreste spaventarvi a guardare la mia faccia da vittima della chinetosi!

  1. Dimenticatevi l’igiene

    Penso sia stata l’esperienza più “sporca” della mia vita. L’acqua in barca è poca, va risparmiata e perciò deve essere usata poco e solo per giustificatissimi motivi. In più, i WC da scaricare ad energici colpi di pompa o con rumorose levette elettriche possono accettare sì e no acqua e poca carta igienica. Vi lascio immaginare che è già tanto se in queste condizioni avrete voglia di fare anche solo pipì, sempre che abbiate lo spazio per muovervi nei micro bagni, in cui è difficile persino lavarsi i denti. Inutile dire che è necessario portare gli asciugamani, mentre è bene usare il sapone che si trova a bordo, teoricamente pensato per fare meno schiuma degli altri. Visto che di solito con l’attracco nei porti sono disponibili anche dei bagni comuni a pagamento, correte ad utilizzarli appena toccata terra. Peccato che sono bagni pubblici in un porto: ripetete ad alta voce queste ultime parole in corsivo e davanti a voi si concretizzerà il livello di igiene disponibile, pur se vi trovate nella scintillante Santa Margherita Ligure.
     

  2. Dimenticatevi di dormire

    Colpa mia che ho il sonno leggero, lo so. Ma come si fa a dormire in cuccette che hanno uno spazio vitale pari alla metà di quelle sui treni italiani (il che è tutto dire), mentre la barca oscilla costantemente, le luci del porto si infilano dagli spiragli delle tendine, i pezzi metallici della barca stridono e sbattono, il sole vi sbatte clamorosamente in faccia la sua luce appena è l’alba? Io sono morto di freddo, ma immagino sia un problema del periodo: il week-end è stato pur sempre ad inizio marzo, non in primavera; d’altra parte, suppongo di estate si muoia dal caldo durante la notte. In ogni caso, per sicurezza, recuperate sacchi a pelo o similari, considerando che finirete spesso per finire a dormire vestiti, a meno che non vogliate esibirvi in spogliarelli mozzafiato davanti ad altre 10 persone.
     

  3. Vestitevi a cipolla

    Questo sembra un tipico consiglio da zia freddolosa e petulante, ma è in realtà un dato di fatto: in barca a vela si passa dal sole che arde mentre si è fermi, al gelo artico di quando si alza il vento e si va a 30 (o più) nodi, alle secchiate d’acqua che il mare vi regalerà appena la barca affronterà qualche onda più aggressiva. Come scrivevo sopra, io son morto di freddo di notte ma anche durante la navigazione, nonostante avessi su t-shirt, felpona, piumino e cerata: sembravo l’omino Michelin in versione gialla, ma battevo i denti come non mi succedeva da tempo. Poi si calmava il vento, si calmavano le onde ed iniziava a battere il sole, quanto mai opportuno per asciugare i vestiti che erano rimasti fuori dalla cerata e si erano bagnati fradici (caso tipico i pantaloni, se si indossa solo la parte superiore delle cerata). Dopo un po’, ovviamente, si aveva caldo e ricominciava il ciclo del metti/togli i vestiti.
     

  4. Portate occhiali da sole e cappellini

    Visto che viene spontaneo scimmiottare le squadre di vela della Louis Vuitton Cup, una volta indossata la cerata, sarà bene che mettiate su anche gli occhiali da sole. Attenzione però che siano allacciati con la cordicella: altrimenti, potrebbero fare un’ingloriosa fine in acqua. Per quanto mi riguarda, suggerisco occhiali in plastica dei marocchini, basta che ovviamente proteggano dai raggi del sole riflessi dall’acqua. Potete indossare anche quelli super-fashion che utilizzate per passeggiare sul lungomare, ma considerate che dopo poche ore avranno una crosta di salsedine sopra da far invidia ad una cozza appena pescata. Per completare il look da velista dovete indossare anche il cappellino sportivo, sebbene sarebbe un’idea grandiosa, piuttosto, indossarne uno che vi copra le orecchie, visto che il vento passerà da un lato all’altro. Male che vada, in ogni caso, finirete come me: cappellino sportivo con sopra capuccio della felpa e capuccio della cerata.
     

  5. State attenti ai piedi

    Consiglio che vale da più punti di vista: all’interno della barca c’è l’abitudine di togliersi le scarpe e lasciarle all’aria aperta, perciò vi conviene andare là con un paio di scarpe non troppo chic, anche perché per salire in barca dovrete passare improbabili passerelle sospese nel vuoto. Ovviamente noi consulenti bancari siamo arrivati con giacche, cravatte, tailleur e tacchi a spillo e perciò l’impresa è stata ardua. Una voltra dentro alla barca, vi conviene indossare calzini abbastanza spessi, a meno di non voler camminare a piedi nudi e poi beccarvi un malanno visto il generale livello di igiene (vedi punto 1). Una volta usciti sul ponte e pronti per la navigazione, indossate scarpe sportive: a quanto pare Tod’s le produce apposta, ma i più scafati vi suggeriranno di indossare un paio di Superga, che hanno la suola liscia (per aderire alla barca) e chiara (per non macchiare la pittura bianca). Io ho utilizzato un paio di Adidas bianche appena comprate e mi son trovato bene: d’altra parte anche il team di Luna Rossa usa le sneaker.
     

  6. Attenzione agli apparati di bordo

    Se sarete riusciti a salire in barca senza calpestare qualche strumento elettronico, essere scivolati trascinando qualche importantissima vela o essere caduti in acqua sporgendovi troppo (ma siate fiduciosi: sono riuscito a non fare queste 3 cose io, ci riuscirebbe chiunque), provate ad ascoltare le indicazioni di skipper ed eventuali istruttori / membri dell’equipaggio. Anche se il vostro interesse nella conduzione di una barca a vela è pari a zero (come darvi torto), sarà di aiuto per la vostra incolumità: verrà il momento topico in cui la barca sarà piegata a 40° e vi verrà chiesto di tirare una corda o girare qualche oggetto metallico. Vi conviene farlo, prima di causare danni agli altri ed a voi stessi: si tratta di una scienza imprecisa, ma ha pur sempre le sue regole. Non ci sono macchine a muovere la barca, perciò tutto sarà affidato alle vostre mani ed al vento.
     

  7. Datevi un ruolo

    Io mi sono attribuito il ruolo di tappezzeria della barca, visto che stavo sistematicamente male e non potevo muovermi granché durante la navigazione. Gli altri colleghi consulenti, più in forma e meno soggetti al mal di mare, piano piano hanno trovato una propria dimensione sulla barca. I lavori sono spesso ripetitivi, ma importanti. Eventualmente chiedete di fare un giro temporaneo al timone, che pare sia qualcosa di interessante per tutti. Per il resto, se proprio non siete tipi sportivi, provate a riciclarvi in ruoli di supporto: anche il preparare la colazione o portare fuori la spazzatura, una volta attraccati, sarà comunque un piccolo apporto al bene comune. Si tratta pur sempre di una comunità e perciò gli asociali sono poco desiderati e malvisti: non è un caso che questo tipo di esperienze venga spesso adottato come metodologia di team building.
     

  8. Abbiate pazienza

    Non siamo al livello degli appostamenti da birdwatching, ma anche la barca a vela richiede pazienza. A parte quella di tutti i giorni di sopportare le idiosincrasie dei colleghi (da quello che soffre il mal di mare a quello che va in panico durante una manovra), vi dovrete soprattutto rassegnare ai ritmi del mare, del vento e del sole. Se il mare è calmo e soprattutto se il vento non c’è, la barca sta ferma, immobile. Rimane solo il solito dondolio da relitto al largo, ma poi ci si abitua. Se il vento riprende, però, bisogna sfruttarlo indipendentemente dall’ora e dai desiderata dell’equipaggio: magari è ora di pranzo e qualcuno non resiste più dalla fame… Meglio che si sieda sul pozzetto ed aspetti la prossima fase di stanca, con pazienza.
     

  9. Mangiate con attenzione

    A proposito di cibo, personalmente sono arrivato alla conclusione che è meglio non mangiare proprio. L’effetto dondolìo della barca, più il freddo da vento forte, più le posizioni da kamasutra fanno sì che il vomito voli da tutte le parti. Io sono stato malissimo a causa di un cattivo consiglio: quello di fare una colazione abbondante, visto il tipico salto del pranzo (vedi punto precedente). In realtà, non è che abbia mangiato o bevuto troppo: ma il mio maledetto acido da ernia iatale mi si è piazzato in gola e non è cessato sin quando, per colpa di una manovra azzardata, io ed il mio collega palermitano non abbiamo buttato via anche l’anima. Se proprio avete fame dopo la sveglia all’alba, provate a consumare qualche biscotto secco tipo GranCerale: con me l’esperimento, il secondo giorno, ha funzionato.
     

  10. Godetevi l’esperienza

    Il Kauris III a Santa Margherita LigureMal di mare a parte, sono stato fortunato nell’aver passato un week-end con persone simpatiche: tutti colleghi più un paio di marinai di lungo corso a far andare avanti la barca. Due notti e due giorni consecutivi sempre insieme hanno ovviamente cementato il feeling con le persone amiche e permesso di approfondire i rapporti con le ultime arrivate. Dopo il primo giorno da incubo, la seconda mattinata sotto il sole è stata piacevole: da tappezzeria si rischia di abbronzarsi pure… Non partite con grandi aspettative: non c’è nulla di molto più straordinario rispetto ad un traghetto che vaga nel Mediterraneo a tutta lena. Eppure, se come è successo a noi a Santa Margherita Ligure, la barca parcheggiata accanto alla “vostra” è quella di Marco Tronchetti Provera (vedi foto del Kauris III), vi sorgerà un dubbio: se chi ha patrimoni sterminati ama passare il tempo tra così tanti disagi, forse qualcosa di piacevole ci sarà. Perciò godetevi quanto di buono vedrete nella vostra esperienza e rimandate il giudizio definitivo a nuove avventure.

Questa non è esattamente la Guida alla Coppa America che ripartirà tra pochi giorni, ad aprile. Si tratta di qualche consiglio amichevole da parte di chi per la prima volta ha passato un week-end su una famosa barca a vela da 19 metri ed ora, la prossima volta che sentirà parlare di boma, spinnaker, genoa, grinder ed altri termini astrusi, presterà un orecchio più attento. C’è sempre da imparare e ci sono sempre nuove sensazioni da provare, l’importante è farlo con persone con cui ci si trova bene. Spero di essere stato utile a qualcuno che si appresta a provare questa esperienza e magari è un po’ in apprensione: c’è ben di peggio, anche per gli imbranati come noi.

Ma chi avrebbe mai detto…

16 Marzo 2007

Che stamattina, guardandomi allo specchio, avrei visto sulla mia fronte la prima ruga. Brutta, ma prevedibile: già  le mie coetanee ne sono piene. Sembra di essere tornati alle Scuole Superiori: le ragazzine crescevano sempre prima dei maschi.

A proposito di Scuole Superiori: erano passati 5 anni tra l’ultimo incontro con la mia prima fidanzatina e poi amica Roberta (all’esame di Maturità ) e la sua visita a Venezia, nel 2002. Chi avrebbe detto che sarebbero volati così altri 5 anni: forse è ora di rivedersi.

Chi avrebbe poi detto che in questi 5 anni sarei stato ad Auroville, quindi a Torino, poi a Nizza e nuovamente a Torino, poi a Roma, Milano e Bergamo. Città  che sembravano fuori dai miei progetti, ma che ora sono tutte un po’ mie.

Sarebbe bello tornare a Nizza, ad esempio, per una mini-vacanza. Chi avrebbe mai detto che in questi anni non avrei mai avuto giorni di vacanza: ora che sono un impiegato metalmeccanico, spero che almeno qualche giorno di vacanza mi tocchi. Anche se prima dovrei maturarlo, a quanto pare.

Chi avrebbe detto che mi sarei ridotto cosà: imprenditore a 21 anni, libero professionista a 25, impiegato a 28. Con uno stipendio non molto soddisfacente: la Società  di consulenza fa sulla mia testolina un margine netto del 90%. Io guadagno quotidianamente x, loro mi vendono giornalmente a 10x. Due dei miei giorni lavorativi più IVA costano al Cliente quanto io guadagno di netto in un mese.

Un bel passo in avanti, rispetto a quando ero indipendente, insomma. Chi avrebbe mai detto che avrei compilato note spese chilometriche, recuperando scontrini e ricevute per recuperare almeno qualche spicciolo in più. Elemosina chic da parte della Società , si direbbe.

Chi avrebbe mai detto, in fin dei conti, che mi sarei trovato così svogliato, demotivato e voglioso di cambiamento: non a causa dei soldi, ma del trattamento ricevuto. Mi hanno ridimensionato da professionsita esterno a pedina scalciante nella speranza di mirabolanti carriere consulenziali.

Avevo voglia di prendere aria e l’unica cosa che ho visto fare è stata legarmi un collare come alternativa alla minaccia di diventare un randagio. Chi avebbe mai detto che sarei finito ad ululare alla luna, nell’attesa di qualcosa che non arriverà .