Festival di Sanremo 2009: un parere

28 Febbraio 2009

Spente le luci del Festival di Sanremo e celebrate le vittorie di Arisa (ovunque e probabilmente meritatamente) e di Marco Carta (nella categoria principale e in assenza di qualcosa di meglio), ecco qualche giudizio sconclusionato sulle canzoni sentite in gara, almeno su quelle interpretate dalla “Categoria Artisti”

  • Afterhours, Il paese è reale: il testo della canzone è interessante, ma le esibizioni sul palco dell’Ariston sono state pessime. La canzone verrà presto dimenticata dal pubblico mainstream, ma avrà una seconda vita nei circuiti alternativi con l’omonima compilation che prova a raccogliere i brandelli di musica contemporanea decente ancora vivi.
  • Al Bano, L’amore è sempre amore: che noia raccapricciante. Sarebbe meglio che tornasse a Felicità, piuttosto che ammorbarci con l’illusione di essere un tenore.
  • Alexia feat. Mario Lavezzi, Biancaneve: brava Alexia, mediocre Lavezzi che, ovviamente, è più bravo come autore che come interprete. La canzone ha un testo bizzarro, ma non meritava di essere strapazzata da Teo Teocoli durante l’apparizione nella serata degli “accompagnatori”.
  • Marco Carta, La forza mia: non insultatelo, ha fatto il compitino assegnatoli, al massimo delle sue capacità. Quando era in ballo per la vittoria finale con Povia e Sal Da Vinci, ha attirato il tifo di mezza Italia. E per fortuna ha vinto.
  • Dolcenera, Il mio amore unico: sarà di sicuro una di quelle più trasmesse dalle radio. Ci accompagnerà tranquillamente verso l’estate e tutti la canteremo sotto la doccia, in auto, in palestra.
  • Gemelli Diversi, Vivi per miracolo: solita canzone di Aleotti Jr. e dei suoi amici, che nel tempo si sono dimostrati sempre meglio di Aleotti Sr. e di quel che rimane degli Articolo 31. Da qui a dire che qualcuno di questi personaggi sia interprete credibile del malessere delle periferie milanesi ce ne passa.
  • Fausto Leali, Una piccola parte di te: testo triste, ma veritiero. In fin dei conti è il grido di ogni padre che capisce che, dopo anni di sacrifici, suo figlio è un adolescente decerebrato col piercing come tutti gli altri. Ed allora meglio iniziare a cantare piuttosto che prendere la station wagon per abbatterlo.
  • Marco Masini, L’Italia: non vi sembra di averla già sentita? Si tratta della solita canzone in stile Marco Masini: qualche parolaccia buttata qua e là, un po’ di sano (?) qualunquismo e una buona dose di rabbia (ingiustificata, visto il reddito del nostro toscanaccio).
  • Nicky Nicolai e Stefano Di Battista, Più sole: meno male che c’è YouTube, l’avevo già dimenticata. In confronto, viene quasi voglia di riabilitare Al Bano. Quasi.
  • Patty Pravo, E io verrò un giorno là: follia da sessantenne ubriaca. Il testo della canzone sarebbe anche interessante (da decifrare), ma le interpretazioni della nonnetta del Piper sul palco di Sanremo sono state allucinanti. Stonata all’inverosimile e assolutamente fuori di senno.
  • Povia, Luca era gay: brrrr, che brividi. Probabilmente molti preferiranno ricordarne la versione di Elio e Le Storie Tese, perché quella originale ha un testo fatto di slogan a livello di Arbeit Macht Frei.
  • Pupo – Paolo Belli – Yossou N’Door, L’opportunità: tipica canzone presa in giro per partito preso. Non ci fosse stato Pupo sul palco, questa canzone sarebbe stata nella media sanremese. Invece è diventata il parafulmini di tutti gli ascoltatori distratti. I tre ci avevano provato, a dare un messaggio. Che non è arrivato da nessuna parte.
  • Francesco Renga, Uomo senza età: dopo Al Bano, un altro convinto di avere una voce indimenticabile. Testo brutto, interpretazione noiosa, musica gentilmente fornita da Puccini. Renga era meglio nei Timoria. Punto.
  • Sal Da Vinci, Non riesco a farti innamorare: canzone presente per par condicio nei confronti dei campani. I quali ormai vivono in una repubblica a parte e quindi hanno diritto ad una loro rappresentanza in qualsiasi spettacolo pubblico, sia esso televisivo, musicale o internazionale (e Sanremo vorrebbe essere tutti e tre).
  • Tricarico, Il bosco delle fragole: genio incompreso o pessimo cantautore? Stavolta il testo fa veramente schifo e l’interpretazione a Sanremo è stata penosa. Ma ci sarà sempre qualcuno che considererà Tricarico un poeta dall’animo dolce e sensibile.
  • Iva Zanicchi, Ti voglio senza amore: LOL, ROTFL etcetera. Bisogna prenderla a ridere, perché l’idea che un’ottuagenaria che compare all’Ariston con un testo simile deve per forza essere uno scherzo della produzione. Oppure un anticipo sulla campagna elettorale per le Europee.

Ovviamente si tratta di giudizi del tutto personali ed espressi da uno che tra qualche mese festeggia 15 anni senza televisione, ma che ha dalla sua 30 anni di passione per la buona musica. Elemento che, si direbbe, manca quasi sempre a Sanremo e dintorni… E non si capisce davvero il perché, visti gli investimenti che il Festival comporta.

Il modo migliore di smettere di amare è iniziare ad odiare

13 Febbraio 2009

All’inizio non ci credevo: lei che era stata sempre così premurosa, dolce, comprensiva, al telefono come dal vivo, all’improvviso aveva cambiato atteggiamento. Ero giovane e ancora non sapevo che quel copione l’avrei vis(su)to molte altre volte. All’inizio avevo cercato di capire, trovando un muro dall’altra parte: ma era lei, la stessa di sempre?

Diceva di sì, di non era cambiata lei, ma di aver capito quanto fosse cambiato il nostro rapporto, ovviamente per colpa mia. Io dichiaravo amore eterno e lei diceva di volermi bene, io parlavo di futuro & vita insieme & figli e lei diceva di voler vivere alla giornata. Io cercavo di comportarmi come sempre e lei diceva che non andava/andavo più bene.

Mi struggevo cercando di capire perché, nei suoi occhi, all’amore si era sostituito qualcosa di diverso. Se prima alle mie battute rideva, ora rispondeva seccata. Se prima era una maniaca delle coccole, ora mi teneva a tre metri di distanza. Se prima faceva con me i conti alla rovescia rispetto all’incontro successivo, ora faceva saltare gli appuntamenti.

Solo dopo un po’ di settimane compresi cosa c’era in quegli occhi. C’era dell’odio. Io ero poco esperto, trovandomi in una delle mie primissime relazioni: il cambiamento era stato rapido ma non immediato, la mia reazione era stata lenta ma non per questo meditata. Avevo continuato a dimenarmi confidando in un mondo che, in realtà, non esisteva più.

In quella situazione, così come nelle successive, mi sono sempre domandato cosa avesse fatto scattare “la molla”. Il fatto che io parlassi di legami finché morte non ci separi pur avendo venti anni? Il fatto che fossimo troppo diversi o di esserlo diventati nel tempo? Il fatto che i suoi interessi ed i miei tendessero a divergere invece che convergere?

Occasione dopo occasione, storia dopo storia, ho iniziato ad essere sempre più disilluso. Ho quasi 15 anni di vita sentimentale sulle spalle e, da inguaribile ottimista sentimentale, ricordo i 99 ricordi belli di ogni storia ed un 1% di risentimenti e scudisciate verbali. Nel tempo si sono accumulati tanti grumi, è vero: ma ogni volta mi butto a capofitto lo stesso.

Devo dire che ormai la lezione l’ho imparata, ma faccio fatica a metterla in atto. Quando mi sono trovato io nell'(unica) occasione di trovarmi dall’altra parte, non sono riuscito ad applicarla: invece di iniziare ad odiare la mia compagna per poterla lasciare a cuor (al)legger(it)o, ho inziato ad odiare me stesso per aver dovuto prendere “la” decisione.

Buon San Valentino a tutte le coppie in crisi. Un suggerimento: valutate correttamente la situazione e cercate di prendere decisioni condivise prima che sia troppo tardi, prima che gli occhi di lui o di lei si siano riempiti del tutto di bile. Forse è destino, forse colpa degli esseri umani coinvolti: mai, però, è bene che il grumo di dolore diventi una matassa.