La fabbrica della slide

30 Settembre 2011

La vignetta è stata pubblicata su Dilbert.com l'1 settembre 2011

Ci sono vari modi di fare il consulente e tante aree in cui chiedere una consulenza ha un senso. Qualche volte i Manager chiedono qualche consulenza di troppo e talvolta i consulenti scelti non hanno tutte le competenze necessarie, soprattutto quando sono stati scelti su base politica. Il che avviene saltuariamente in tutto il mondo, ma spesso in Italia.

Ciò che accomuna un po' tutte le casistiche citate è il fatto che gli strumenti utilizzati da tutti i consulenti sono simili. Sebbene in alcuni casi esista una metodologia consolidata e in altri meno, alla fine la maggior parte dei consulenti finisce a utilizzare gli stessi strumenti, ognuno col proprio formato ma tendenzialmente con lo stesso approccio di fondo.

Qualche anno fa scrivevo di posta elettronica e fogli Excel come tool quotidiani e di riunioni infinite a tutti i livelli come metodo più frequente di interazione. Avevo parlato di "documenti" senza accennare al fatto che nella stragrande maggioranza dei casi si tratti di "tradizionali" slide in PowerPoint, le stesse che tutto il mondo odia per partito preso.

Consulenti e Clienti probabilmente non amano alla follia la montagna di slide prodotte ogni giorno, però alla fine sanno che è l'unico strumento condiviso per andare a parlare dai Top Manager in maniera "semplice" e teoricamente sintetica, anche se a volte alcune slide sono di una complessità disarmante per chi non è avvezzo a questo uso.

Quando la consulenza si trasforma in una fabbrica di slide, vuol dire che qualcosa non va; quando è il Cliente a chiamarti con l'intento preciso di farti produrre slide da portare al proprio capo, ti domandi se abbia davvero bisogno di consulenti o di imparare a lavorare come si deve, circondandosi dello staff giusto piuttosto che di consulenti.

Sono tempi economicamente molto difficili e quindi non è il caso di fare gli schizzinosi nello "scegliersi" i Clienti. Diciamo che però proprio in questi frangenti risaltano ancora di più i progetti belli, quelli che ti fanno essere felice di fare questo lavoro, rispetto alle slide-factory malpagate e malvissute. Si trattiene il fiato e si va a fare delle slide.

La musica degli anni Novanta

16 Settembre 2011

Riflettevo lo scorso week-end sul fatto che molti dei dischi più belli ascoltati nella mia vita appartengono alla decade 1990/1999. Allo stesso periodo risalgono anche dischi che magari non rientrano esattamente nei miei gusti, ma di cui vedo ancora oggi l’attualità o riconosco le ricadute su interi generi musicali. In questi giorni ho provato a fare ordine tra i ricordi e provare a trovare il disco più rappresentativo di ogni anno.

Copertina di 'Behaviour' dei Pet Shop Boys (1990)Pet Shop Boys – Behaviour (1990)

È stato il primo CD che ho comprato in vita mia, in Francia. I Pet Shop Boys li ricordavo qualche anno prima con Domino Dancing, una canzoncina talmente facile da risultare gradevole a un bambino che cresceva negli anni Ottanta. Behaviour è invece di tutt’altro spessore: sonorità diverse, testi interessanti, cura per i dettagli. Persino So Hard, il brano probabilmente più conosciuto dell’album ma dallo stile musicale più tradizionale, è poi piacevole da ricordare per il testo. Sicuramente il punto più alto della carriera del duo inglese, che poi si è un po’ perso per strada. Per la cronaca, il 1990 fu anche l’anno di Epica Etica Etnica Pathos, ma ne ho già parlato anni e anni fa.

Copertina di 'Out of Time' dei R.E.M. (1991)R.E.M. – Out of Time (1991)

Premetto: il 1991 era stato un anno notevolissimo dal punto di vista musicale. Me ne sono reso conto pensando alla mia collezione musicale e ne ho avuto conferma con un articolo di Michele Boroni che proprio negli scorsi giorni ha sottolineato il ventennale (!) di Nevermind dei Nirvana, cogliendo l’occasione per citare altri grandi dischi usciti in quei mesi. Ma per me il 1991 è l’anno di quel gioiello chiamato Out of Time dei R.E.M., l’album che non contiene solo Losing my Religion e Shiny Happy People, ma un numero imprecisato di tracce indimenticabili, che mi fecero letteralmente consumare la musicassetta. Forse sarebbe ora di comprare il CD.

Copertina di 'Italyan, Rum Casusu Çikti' di Elio e le Storie Tese Italyan (1992)Elio e le Storie Tese – Italyan, Rum Casusu Çikti (1992)

Quando uscì l’album avevo 13 anni e inevitabilmente ne apprezzai i testi ironici. Poi, crescendo, ho capito la miniera musicale insita nell’album, che è un collage infinito di tributi a grandi musicisti e di arrangiamenti di ottima qualità. Molti lo ricordano per Pippero, che poi forse è la canzone più scemotta. I veri fans del Gruppo invece ricordano praticamente tutti i brani, perché sono di fatto i più amati di sempre. Penso basti citare Supergiovane o Servi della gleba o Il vitello dai piedi di balsa a un amante degli Elii per vederne sciorinare i testi, ricchi di calembour, con sommo divertimento.

Copertina di 'Verba Manent' dei Frankie Hi-Nrg Mc (1993)Frankie Hi-Nrg Mc – Verba Manent (1993)

Verba Manent fu uno dei primi veri album rap italiani. Rap puro, ispirato sicuramente da quello di Oltreatlantico, ma portato in Italia da Frankie Hi-Nrg Mc in maniera decisamente originale. Il disco è ancora oggi attualissimo dal punto di vista musicale e purtroppo anche dei testi, visto che la critica a malcostume e mafie italiani potrebbe essere scritta oggi. Sebbene rispettavo Frankie per i suoi singoli, scoprii la bellezza dell’album solo diversi anni dopo. Nel 1993 infatti ero ancora un fan di Ligabue e quindi il cruccio musicale dell’anno fu cercare di capirne la svolta cupa rappresentata da Sopravvissuti e sopravviventi.

Copertina di 'In quiete' dei C.S.I. (1994)C.S.I. – In quiete (1994)

Immagino che i puristi abbiano da ridire sul fatto che in una simile rassegna possa essere incluso un album di canzoni non originali. Il punto è che In quiete non è un best of o un live come quelli che molti gruppi hanno prodotto a nastro continuo negli ultimi anni. Si tratta di un vero e proprio documento storico di una serata della vita di Giovanni Lindo Ferretti e dei suoi soci, che riprendono in chiave acustica i migliori pezzi del Consorzio Suonatori Indipendenti e qualche perla dei già citati CCCP Fedeli alla Linea. È anche una delle poche tracce rimasteci di quel meteorite che fu Videomusic per la musica italiana. Altro che MTV Unplugged.

Copertina di 'Sempre più vicini' dei Casino Royale (1995)Casino Royale – Sempre più vicini (1995)

La scena musica italiana “giovanile” di metà anni Novanta è un fenomeno che penso non si ripeterà più. Tra tutti i dischi perfetti usciti in quelli anni di piena adolescenza, Sempre più vicini è stato per me uno dei più amati. I Casino Royale erano l’avanguardia di questa sorta di movimento di rinnovamento della musica italiana e i testi, così depressi e ipnotici, erano perfetti per accompagnare le mie turbe giovanili. Sono così affezionato a questo gruppo che ne scriverò a parte e in maniera sicuramente più partecipata, meno “tecnica”; qui appunto che a posteriori non è detto sia stato il capolavoro della loro carriera, ma forse è solo antipatia nei confronti di Giuliano Palma, che pochi anni dopo abbandonò la nave che sembrava affondare. Per fortuna i Casino Royale sono ancora qui.

Copertina di 'Neffa e i Messaggeri della Dopa' di Neffa (1996)Neffa – Neffa e i Messaggeri della Dopa (1996)

Quando uscì Neffa e i Messaggeri della Dopa l’hip hop italiano era pronto a fare il salto verso il grande pubblico. Aspettando il sole era un singolo triste e di buon impatto sul grande pubblico, ma le vere perle del disco sono probabilmente le tracce meno conosciute. L’album è una vera e propria rassegna dei migliori rappresentanti della scena: da Nord a Sud, gli “amici” di Neffa hanno lasciato traccia dei loro freestyle e si sono fatti conoscere. Il disco è ascoltabilissimo ancora oggi e devo dire è di una spanna superiore alla produzione successiva di Neffa, che ha poi scelto una strada più melodica. Se penso che stiamo parlando dello stesso cantante visto quindici anni dopo nei Due di picche, scuoto la testa e mi illudo sia un’omonimia.

Copertina di 'The Fat of the Land' dei The Prodigy (1997)The Prodigy – The Fat of the Land (1997)

Per me il 1997 si aprì con Stoosh degli Skunk Anansie, uscito l’anno prima, a manetta. The Fat of The Land è invece un album che conosco poco, ma sta in questa lista perché è innegabile che, per quanto possano dare fastidio, brani come Smack My Bitch Up, Breathe o Firestarter abbiano lasciato tracce profonde nella nostra storia musicale, anche al di là del fenomeno big beat che ai tempi spadroneggiava dentro e fuori i rave. Secondo me l’impatto culturale di queste canzoni è molto maggiore di quello di OK Computer dei Radiohead, che di solito viene citato come disco di riferimento di quell’anno ma che in realtà per me è alla pari di altre uscite del 1997, come Pop degli U2 o Urban Hymns dei Verve.

Copertina di 'Mezzanine' dei Massive Attack (1998)Massive Attack – Mezzanine (1998)

Mezzanine è l’alter ego del disco precedente. Dopo mesi di cassa pesante, il mondo sembrava essersi stufato e in un impeto di depressione si era innamorato delle atmosfere sognanti (ma spesso torbide) del trip hop dei Massive Attack. Brani come Teardrop o Angel ascoltati a tutto volume fanno venire la pelle d’oca ancora oggi, nonostante siano stati ampiamente sfruttati in film, campagne pubblicitarie e programmi televisivi vari. Mezzanine fu reso disponibile per il download dal sito ufficiale destando la rabbia di tutti gli acquirenti del disco fisico, ma suggerirei ancora oggi anche a chi non ha mai comprato un album originale di fare questo sacrificio, perché merita davvero. Se posso permettermi un altro suggerimento sempre relativo al 1998, l’omonimo di N’Dea Davenport.

Copertina di 'Microchip emozionale' dei Subsonica (1999)Subsonica – Microchip emozionale (1999)

Probabilmente Microchip emozionale non è nel suo complesso il disco migliore dei Subsonica, ma di fatto contiene tutte le pietre miliari del gruppo, i “grandi classici” che ancora oggi sentiamo nei concerti. Canzoni come Il cielo su Torino o Aurora sogna sono parte del DNA dei fans dei Subsonica, anche se probabilmente nel disco i pezzi più interessanti erano quelli realizzati a quattro mani come Liberi tutti con Daniele Silvestri, Disco labirinto insieme ai Bluvertigo, Il mio DJ aka Claudio Coccoluto. Qualche mese fa i Subsonica in Benzina Ogoshi hanno cantato «Non siete riusciti a bissare Microchip Emozionale» come una delle “accuse” ricevute più spesso; in realtà penso che dopo abbiano fatto anche di meglio, ma per una band che cambia sound di continuo i gusti individuali sono difficili da soddisfare.

Termino qui, conscio che di album interessanti ne sono usciti anche nel decennio successivo e che sicuramente qualcuno potrebbe ricordare con nostalgia pure gli anni Ottanta. Ma per me i Novanta come avrete intuito sono stati gli anni della formazione musicale, della voglia di uscire nel mondo e poi di iniziare a farlo. Un decennio indimenticabile, fatto di alti e bassi, ma soprattutto di musica. Quella raccontata sopra, ma non solo.