Casino Royale o Subsonica?

30 Novembre 2011

Qualche mese fa è uscito un nuovo disco dei Casino Royale e sono incappato nell’articolo di Lorenzo Barassi su Io e la mia ombra. Una recensione per modo di dire, perché Lorenzo è l’anima visuale dei Casino Royale e quindi è meravigliosamente invischiato in quella che di solito viene definita Famiglia Royale. Che ovviamente comprende i componenti della band, ma di cui noi fans (almeno) ventennali ci sentiamo parte.

Chi li ha conosciuti nei primi anni Novanta ha iniziato ad apprezzarne l’originalità nel portare in Italia uno ska festoso, ma ben suonato; li ha visti crescere tanto a metà di quel decennio, in anni in cui le “nuove” band di qualità erano tante e poche, tra cui proprio i Casino Royale, riuscivano a costruirsi un’identità forte; li ha visti prendere una deriva sempre più drum’n’bass fino all’esperienza Royalize. Poi il silenzio, per un po’.

Nella prima metà del decennio successivo, quella in cui è nato questo blog, i Casino Royale sono quasi spariti dalla circolazione. Molti di noi hanno “ripiegato” su altre sonorità, sperando che Alioscia & C. tornassero con la loro musica e soprattutto coi loro testi. Perché nelle mille mutazioni di suono quelli sono rimasti una costante: un qualcosa cui aggrapparsi anche nei momenti difficili, un’autobiografia quasi generazionale.

In quegli anni per me i Subsonica non sono stati un ripiego, ma probabilmente l’inizio di un percorso diverso. Li ho di fatto scoperti in India e poi ho iniziato ad apprezzarli sempre più una volta trasferito a Torino. Ascoltare i Subsonica a Torino è la garanzia di capire a fondo la città e i suoi abitanti; qualcosa di simile a ciò che avviene nel rapporto tra Casino Royale e Milano, sebbene il rapporto sia ben più sofferto (anche per me).

Negli ultimi anni i Casino Royale sembrano essersi ricompattati ed è un piacere ascoltare nuovi brani scritti con la maestria di sempre e un gusto per la sperimentazione musicale senza pari; i Subsonica continuano a essere una forza capace di muovere le montagne; se i maledetti CSI/PGR fossero ancora vivi, insieme agli altri due gruppi costituirebbero una triade di insuperabile bravura e capacità di scrivere/suonare/esibirsi.

I Casino Royale restano il mio gruppo preferito e non vedo come possa essere diversamente, perché in qualche modo hanno accompagnato la mia vita dall’adolescenza a oggi. I Subsonica rappresentano una vita “alternativa” che ho assaporato per qualche anno, ma che non sono mai riuscito ad agguantare davvero. Per ora ascolto entrambi camminando per le strade di Milano. Purtroppo non in quelle di Torino.

La regola dei 35 anni

15 Novembre 2011

Sembra sempre più conosciuta la cosiddetta regola dei 35 anni. In sintesi, questa regola tramandata di trentenne in trentenne stabilisce che il livello professionale/sociale che raggiungerai entro i 35 anni sarà quello che poi conserverai per il resto della tua vita. C’è sempre il rischio di tornare indietro (leggi: disastri delle aziende e conseguenti licenziamenti), ma raramente di andare molto avanti.

A pensarci, la regola è un po’ brutale dal punto di vista professionale. Se è vero che spiega il perché molti (inconsciamente o meno) si sbattano tanto per arrivare a posizioni importanti entro quell’età, in qualche modo poi tarpa le ali per i 30 anni (almeno, visto il trend pensionistico) di carriera successivi. Se faccio mente locale, la regola è valsa per molti dei trentenni incontrati negli scorsi anni.

Per quanto mi riguarda io sono professionalmente sereno; continuerò ovviamente a lavorare bene ma penso di avere una posizione sensata sul medio termine. Sul lungo, onestamente, non faccio alcuna previsione, visto l’andazzo macroeconomico: le storie difficili di alcuni lettori della Cuccia di cui ho grande stima insegnano che la sòla è dietro l’angolo e questi tempi in effetti non aiutano.

Il dubbio di fondo è che la regola dei 35 anni abbia un senso se nel frattempo si è messa su famiglia. Se arrivi a quell’età e ad esempio hai dei figli, il fatto di rimanere lavorativamente tranquillo senza azzardi magari più remunerativi ma appunto più rischiosi, sicuramente fa parte del gioco. Ma cosa succede se non sei riuscito a trovare un/una partner e magari aver fatto i figli in questione?

Probabilmente è lì che iniziano le complicazioni della pur semplice regoletta di fondo. È lì che si creano quelle situazioni un po’ paradossali di quarantenni che improvvisamente vogliono diventare madri/padri o di trentenni che tutto a un tratto si sentono in ritardo e cominciano a correre ai ripari, creando bolle utilitaristiche più che sentimentali, ottime per finire con divorzi dolorosi per entrambi.

Tra un mesetto varcherò la soglia dei 33 anni. Sono lontano un paio d’anni dal salto dello squalo e quindi guardo con curiosità a cosa mi aspetta nel prossimo biennio. Sia professionalmente, visto che dubito si possa fare grande carriera con il contesto che ci circonda, sia dal punto di vista personale. Ovviamente, la speranza è di non diventare uno zimbello anch’io, da qui a qualche anno.