My Name is Earl

31 Agosto 2012

Una delle principali attività di relax recente è stata vedere in versione integrale le quattro stagioni di My Name is Earl. L’unica volta che mi era capitato di vedere “a nastro” intere stagioni della stessa serie era stata con le prime due di Arrested Development, sempre in DVD; stavolta, però, tra episodi e contenuti speciali, si è trattato di parecchie ore in più. È stato bello tuffarsi in una serie divertente, che punta molto sulla costruzione di un universo bizzarro ma consistente nel tempo, che cresce nel tempo aggiornando lo spettatore fedele anche grazie a molti riferimenti intertestuali/metatestuali. Non tutte le quasi cento puntate sono state allo stesso livello, ma il livello medio mi è sembrato molto buono.

Probabilmente la prima stagione è la più riuscita: l’idea della lista di danni arrecati ad altre persone nel passato da spuntare e risolvere è un motore narrativo eccezionale, visto che ogni puntata può partire da uno spunto incidentale e poi svolgersi in maniera complessa fino alla risoluzione del “caso”, con un buon ritmo nonostante i molti flashback. Dalla seconda stagione sono iniziati i problemi: nei contenuti extra il produttore Greg Garcia si dichiara fiero di aver dato maggior sviluppo orizzontale alla serie, ma in verità ha deteriorato quello verticale, facendo peraltro risaltare ancor di più gli episodi slegati dal contesto. In tal senso, l’episodio in cui si scimmiotta Cops è il salto dello squalo della serie.

La terza stagione inizia con Earl in galera e questo fa sì che ovviamente la risoluzione dei punti della lista si fermi definitivamente; il successivo ingresso in coma è un ulteriore rallentamento, sebbene verso la fine della stagione si ritorni a parlare di lista e karma. Interessante che da questa stagione in poi anche i DVD si impoveriscano in termini di contenuti. Nell’ultima stagione si torna a pieno ritmo al format iniziale, con in più gustose divagazioni come l’evoluzione della famiglia di Joy nel programma protezione. Nel complesso è forse la stagione più equilibrata, perché ritrova la vitalità della prima, ma può far tesoro della lunga serie di personaggi/storie/esperienze raccontati negli episodi precedenti.

Il bilancio complessivo della serie è positivo soprattutto grazie all’ottima interpretazione da parte degli attori, in particolare di Jason Lee e Jamie Pressly. Oltre a un buon esempio di utilizzo “smart” delle community di fans sul Web, è stata anche un buon manuale per aspiranti sceneggiatori, nonostante le “sbandate” e gli esercizi di stile frequenti soprattutto nella seconda e nella terza stagione. Rimane un po’ l’amaro in bocca per la fine prematura e la conseguente fine brusca della narrazione, giustificate dagli ascolti progressivamente in calo stagione dopo stagione. Avrebbe meritato qualche decina di puntate in più, anche solo per farci vedere il lieto fine del ladruncolo diventato santo quanto basta.



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