Arrivederci Bergamo (non è un addio)

29 Marzo 2009

Se vado a scavare negli archivi della Cuccia, mi rendo conto di quanto tempo è passato dal mio addio a Padova: oltre sei anni e mezzo da quel lungo viaggio verso la Calabria, con alle spalle la porta della Reggggia e davanti i dubbi sulle possibilità di ammissione ad un qualsivoglia Master post-universitario italiano di livello adeguato. Poco meno di cinque, invece, sono gli anni trascorsi da un altro addio cruciale, quello a Nizza che, tra furti e cattiverie assortite, mi aveva brutalmente respinto verso l’Italia.

Da lì in poi, è stato un turbinio di città a cavallo tra 2004 e 2005: Torino, Roma, Milano, Bergamo. Proprio in quest’ultima città, a fine 2005, avevo iniziato a vivere in maniera continuativa: un anno passato tra residence, alberghi e bed & breakfast, fino all’approdo in un minuscolo monolocale di periferia completamente arredato dall’Ikea a fine 2006. Sembrava un’ulteriore soluzione temporanea ed invece proprio lì (anzi, nel bilocale di fronte, altrettanto Ikea ma decisamente più ampio) vivo tutt’ora.

Ancora per pochi giorni, purtroppo. I progetti full time a Bergamo sono finiti a dicembre e, a parte qualche piccola attività svolta a gennaio e febbraio, da marzo non c’è alcun motivo per cui io stia qui. Approfitto, a dire il vero, del periodo di preavviso che era comunque dovuto al proprietario degli appartamenti bergamaschi: ho chiesto qualche giorno ancora per terminare di riempire valigie e borsoni, ma ai primi di aprile dovrò necessariamente lasciare Bergamo alla volta di Milano. Che gioia incommensurabile.

Non ho ancora un alloggio a Milano, peraltro. Immagino che, una volta finito il trasloco, dovrò cercare di comprare una casa a Milano che mi permetta di uscire da questa eterna indeterminatezza riguardo le mie abitazioni. In questi anni ho capito che la vita di coppia sotto lo stesso tetto è molto difficile e questo mi ha spinto molto, in queste settimane di infiniti viaggi tra Bergamo e Milano, a ragionare in termini di più ampi e possibili sconvolgimenti epocali della mia vita personale e professionale da qui a qualche mese.

Contrariamente ai post di Padova e di Nizza, questo su Bergamo non vuole essere necessariamente un addio. A Bergamo mi trovavo veramente bene e non dispero di poterci tornare a vivere, prima o poi. Rispetto alla triste vita a Milano, Bergamo rappresenta un buon compromesso anche nei confronti della Padova troppo lontana dai centri nevralgici e della Nizza affascinante ma decisamente vacanziera. È pur vero che, fin quando la viabilità Bergamo-Milano sarà così disatrosa, è difficile immaginare di far il pendolare, ma non dispero.

Immagino che non sapere dove andare a vivere nel giro di due-tre giorni possa avere un certo fascino per chi legge queste pagine come un racconto astratto e non come un diario di una persona che, col senno di poi, si domanda se non avrebbe dovuto trasferirsi definitivamente a Bergamo ormai diversi anni fa. Troverò una soluzione ponte ove appoggiare valigie e bagagli assortiti e poi iniziare a girare l’Italia come spesso sto facendo in queste settimane… Ma non dimenticherò Bergamo: è una pagina ancora aperta, ne sono sicuro.

Camere separate, case diverse

14 Marzo 2009

L’altro giorno ero in treno e spiavo un titolo sul quotidiano di un vicino: quando sono arrivato a casa l’ho recuperato dagli archivi digitali de La Repubblica e oggi dedico qualche minuto a parlarne qui sulla Cuccia, perché la sua lettura mi ha fatto riflettere un po’. Già il titolo, d’altronde, Camere separate Se dormire da single fa bene alla coppia, mi aveva suscitato qualche pensierino nei lunghi andirivieni ferroviari di questo periodo tra Bergamo e Milano.

Tra una descrizione e l’altra degli effetti nefasti del russare sulla vita di coppia (ahi) e di altri fattori destabilizzanti, l’articolo conteneva passaggi come questo

«Dormire in due camere diverse migliora il rapporto, incentiva il buon umore e aumenta il rendimento sul lavoro, sostengono gli esperti. Da uno studio pubblicato su New Scientist condotto da un gruppo di ricercatori austriaci risulta che condividere il letto può negli uomini ridurre le abilità cognitive al risveglio. Meno gravi sarebbero gli effetti sulle donne, il cui sonno è definito “più rigenerante e profondo di quello maschile”. Ma attenzione: separare le stanze può essere uno shock.»

oppure

«Negli Usa, secondo un sondaggio della National Sleep Foundation, il 23 per cento delle coppie sposate dorme in stanze diverse, come in epoca vittoriana, e nel 2015 la percentuale salirà al 60. Una tendenza in vertiginoso aumento, sottolineano costruttori e architetti: secondo la National Association of Home Builders chi compra casa o ne fa costruire una nuova è disposto a sacrificare lo spazio del salotto o a rimpicciolire la cucina pur di fare saltar fuori un’ altra camera da letto.»

che, col loro dire e non dire, mi hanno aperto un baratro di dubbi e angosce. Fino a qualche anno fa non pensavo che il sonno potesse incidere così tanto sulla vita di coppia: decine di week-end con persone dalle abitudini diverse, però, hanno iniziato a farmi capire l’importanza di questo elemento nell’alchimia quotidiana di chi, volente o nolente, è spesso costretto a condividere spazi angusti in appartamenti disegnati per una persona ed abitati (almeno) da due.

L’idea delle camere separate, in effetti, ha un suo fascino: non più discussioni infinite su chi russa più forte, sugli orari della sveglia o sui piumoni mai troppo larghi per due persone adulte e magari particolarmente freddolose. La mia memoria delle sveglie alle 7 del mattino dopo essere andati a dormire alle 2 ed essere stati svegliati 50 volte per colpa del caldo, del freddo, del russare, del buio, della luce e così via è talmente viva che andrei ora a costruire un muro in camera da letto.

In realtà, però, non basterebbe. Il problema è, in generale, la vita di coppia in case troppo strette. Qualsiasi casa con un numero di stanze pari o inferiore al numero dei suoi componenti, mina in profondità la vita wannabe-familiare. E perciò evviva le coppie che vivono in case separate. Non troppo lontane, magari, perché è bello essere presenti quando è necessario ma è ancora più bello essere presenti se e solo quando lo si vuole davvero entrambi, piuttosto che soffrire ogni giorno un po’ di più.