Da una chiacchierata della scorsa settimana, mi sembra di aver capito che la frase che ha colpito di più del mio post precedente è quella in cui giustifico il mio non voler spostare la residenza dalla Calabria con l’idea che i soldi delle mie tasse in qualche modo finiscano lì. Concetto “romantico” e un po’ troppo da federalismo fiscale, non molto applicabile alla realtà italiana.

Quando si parla di tasse, insomma, tutti alziamo le antennine. Così sono andato a rileggermi il mio post di cinque anni fa sull’argomento per vedere cosa ne pensavo: in sintesi, mi lamentavo di pagare molte tasse come titolare di partita IVA, senza avere nessun vantaggio da parte dello Stato in quel momento e nemmeno la consolazione di una pensione in futuro.

Le cose sono parzialmente cambiate, nel senso che essendo dipendente la proporzione tasse dirette/indirette/contributi è peggiorata; di fatto guadagno oggi quanto allora, nonostante le molte responsabilità in più. E il netto mensile è minore, nonostante non possa ovviamente lamentarmi rispetto ai coetanei, a chi non ha lavoro, a chi è vecchio o è disperato etcetera etcetera.

Diciamo che ora le mie lamentele sulle tasse sono basate soprattutto su un benchmark personale, cioè sulla tassazione che vedo applicata ai miei investimenti. Per anni ho dovuto impiegare i miei risparmi su conti correnti/conti deposito a rischio zero, con tassazione al 27%; da quando ho iniziato a investire in strumenti al 12,5% e si vede molto la differenza.

Ci sono stati mesi in cui ho guadagnato di più dando qualche occhiata ogni tanto all’andazzo della Borsa piuttosto che lavorando le solite 70 ore a settimana. Da quando ne ho preso consapevolezza continuo a domandarmi “Chi me lo fa fare?” e quindi il mio pessimismo nel confronto del lavoro da dipendente con tasse alle stelle cresce quotidianamente.

Nel vecchio post sulle tasse, ponevo l’accento sulla mancanza di assistenza sanitaria pubblica a causa dei miei vari spostamenti in giro per l’Italia. Da un lato questo è rimasto valido, dall’altro ora pago un’assicurazione sanitaria che dovrebbe risolvere la maggior parte dei problemi, anche in termini qualitativi. Però oggi, ancora più di allora, il tempo latita del tutto.

Quindi alla domanda “Chi me lo fa fare?” la risposta “La passione” non basta più perché ci va di mezzo la salute. E questa riflessione sulla qualità della vita e sul rapporto lavoro-da-dipendente-troppo-tassato vs. altre-forme-di-vita-con-migliore-qualità potrebbe prendere il sopravvento molto più presto di quanto si possa pensare, anche perché gli anni volano.



3 Comments to “Tasse, investimenti e qualità della vita”

  1. Titì | Aprile 16th, 2011 at 10:57

    Giusto! 🙂

  2. ex-xxcz | Aprile 16th, 2011 at 13:06

    Lo so… E quindi, che faccio?

  3. Pingback dall’articolo » Tassare così le rendite finanziarie non è di sinistra | Marzo 16th, 2014 at 23:04

    […] Da persona di sinistra, per quanto mi riguarda la tassazione delle rendite finanziarie potrebbe anche essere aumentata a dismisura e coincidere con quella del reddito, se questo volesse dire renderla più progressiva ed eliminare gli altri balzelli come la tassa sui depositi e la Tobin Tax. Non è che un nonno che ha da parte 10.000 € per il matrimonio del nipote ora andrà a spenderli e rimetterà in moto l’economia; al contrario, se li terrà belli caldi in contanti in casa, visto che il solo tenerli sul conto corrente vorrebbe dire vederli assottigliare lentamente (si sa che i nipoti si sposano sempre più tardi). Questo vuol dire meno credito da parte di chi dovrebbe erogarlo, visto che è meno liquidità in giro nel sistema ed è un impatto diretto sull’economia, molto più pesante della soddisfazione di aver fatto finta di aver annunciato un provvedimento contro gli speculatori soggetti al nuovo livello di tassa. Che in realtà sono persone normali, come noi. Anzi, siamo noi, che sui soldi “da risparmiare” abbiamo già pagato tante tasse molto prima che arrivino in busta paga.

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