Da fine 2004 a fine 2015, con rarissime eccezioni, ho sempre fatto il consulente per le banche. Istituti di medie e grandi dimensioni, spesso le banche più radicate nei territori dove andavo di volta in volta a vivere. Il feeling era simile: si capiva di essere in un posto amato e odiato dalle comunità locali, ma solitamente rispettato anche solo come traino dell’economia, locale e non.

Negli anni il clima interno prima e quello esterno poi hanno iniziato a deteriorarsi: all’inizio sembravano paranoie dei dipendenti stanchi della corsa al budget, poi si è capito che la grande crisi stava cambiando tutto e tutti, definitivamente. Nei convegni si è iniziato a parlare di “new normal” per definire il nuovo assetto, con tanta gente in crisi e aziende in decomposizione.

Sono finito a lavorare nelle assicurazioni per tutto il 2016 e lo farò ancora per qualche settimana: l’aria è un po’ migliore, ma semplicemente perché le reti sono esterne, quindi molto rischio imprenditoriale viene scaricato sulle spalle degli agenti che in ogni provincia si danno da fare indipendentemente da quello che si decide al centro, che ha comunque ancora qualche soldino da investire.

Immagino che continuerò a lavorare ancora per le financial institutions, anche se spero non in maniera così intensa; vorrei guardare come vanno le cose nelle altre industry, anche se i colleghi consulenti mi dicono che di innovazione se ne fa piuttosto poca. Anzi, dopo tanti anni continuano a farmi battutine tipo “se i soldi non li hanno le banche, a chi vuoi chiederli”.

Fare il banchiere può essere ancora il sogno di molti, fare il bancario è ormai un incubo da tanti punti di vista. Per fortuna ho sempre evitato di accettare le proposte dei vari clienti negli anni: magari prima o poi arriverà “quella che non si può rifiutare”, ma per ora continuo a fare il consulente, con tutto lo stress del caso ma anche con qualche vaga prospettiva di fuga.



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