La Cuccia cambia look

29 Luglio 2007

Chi si è collegato durante la giornata di oggi alla Cuccia, ha visto strane mutazioni genetiche, nella struttura ma soprattutto nel look… Periodicamente i blog cambiano faccia: la scintilla è un cambio di piattaforma, l’installazione di un plugin o di un widget o un cambio drastico nella vita dell’autore. Vista la coincidenza di così tante motivazioni, non potevo non cambiare template, anche in occasione del passaggio all’ultima versione disponibile di WordPress.

Un passaggio purtroppo un po’ doloroso: come aveva già notato Axell, WordPress 2.2 ha qualche problema a comprendere le lettere accentate delle versioni precedenti. A nulla è valso adottare strategie e trucchetti: la maggior parte dei simboli che vanno oltre al set alfanumerico di base (lettere accentate in primis, ma anche simboli vari del set Unicode) ora appare “sfigurato”. Per strani giochi del destino, poi, al posto delle “ì” appaiono delle “à”, al posto delle “ù” degli spazi vuoti.

In mezzo a tutto ‘sto delirio, sto cogliendo l’occasione per aprire ogni singolo post per rileggerne il contenuto, correggerne i simboli scorretti, aggiungere i tag opportuni e riassegnarli alle nuove categorie, meno orientate all’attività lavorativa. Alla fine di questo ciclopico lavoro (in 6 anni i post sulla Cuccia sono diverse centinaia), mi toccherà correggere i simboli astrusi anche sui commenti (che ovviamente sono ancora di più). Da notare che, poco più di un anno fa, avevo fatto qualcosa di analogo per completare il consolidamento della Cuccia su una singola piattaforma. Se tengo ‘sto ritmo, li imparerò a memoria, i contenuti della Cuccia!

Se dal punto di vista umano rileggere le avventure del mio passato mi aiuta a comprendere meglio gli insegnamenti di questi anni, la finalità di questa trasformazione della Cuccia è anche nel senso di un maggiore orientamento verso il mondo del Web 2.0. Qualsiasi cosa questa etichetta voglia dire, sulla Cuccia esprimerà soprattutto un’ulteriore attenzione verso l’interazione con gli altri strumenti di interazione sociale. Inutile nasconderlo: quando le cose nella mia vita assumono un segno negativo, non è difficile notare come ricorra sempre più della media (e sempre troppo) alla vita in Rete. Chi mi sopporterà, vedrà.

Mi mancherai

22 Luglio 2007

Mi mancheranno i tuoi occhi, il tuo collo, le tue mani, le tue labbra. Mi mancheranno le tue braccia, la tua pancia, le tue gambe. Mi mancherà il tuo sorriso e mi mancheranno le tue lacrime. Mi mancheranno le perle di saggezze e i momenti di sana follia. Mi mancheranno le tue idiosincrasie e le tue passioni, i tuoi ragionamenti e la tua passione. Mi mancherà l’ingenuità da bambina e la maturità da donna, la pazienza infinita e la rabbia improvvisa. Mi mancheranno i tuoi occhi chiusi la sera presto e la tua vitalità prima dell’alba, il profumo della tua pelle sul cuscino e l’odore di caffè ovunque per la casa.

Mi mancherai a Torino, a Nizza, a Bergamo, a Milano, a Roma e in tutte le città in cui siamo stati e in cui andrò, stavolta senza di te. Mi mancherai quando sarò a Parigi e tu non sarai con me. Mi mancherà la tua famiglia, i tuoi amici e i tuoi parenti sparsi per il mondo. Mi mancheranno i tuoi colleghi e le loro storie, le tue preoccupazioni e i tuoi successi professionali. Mi mancherà nostra figlia che non è mai nata e mai nascerà, mi mancherà Alessandro che è già nato e crescerà. Mi mancheranno i sogni fatti insieme e la realtà di tutti i giorni.

Mi mancheranno le telefonate, quelle ricevute e quelle senza risposta. Mi mancheranno gli SMS, le e-mail, i commenti sulla Cuccia. Mi mancherà poterti cercare quando avrò bisogno di te, poterti essere utile quando avrai bisogno di me. Mi mancheranno i segreti e i giochi, la complicità e le prese in giro. Mi mancheranno la gioia degli arrivi nelle Stazioni e persino il dolore delle partenze. Mi mancherà quel tuo essere strana quanto me, quella voglia di scoprire il mondo insieme, anche a costo di qualche follia. Mi mancherà la tua gioia di vivere e la tua forza di rispondere alle mie depressioni.

Mi mancheranno i tuoi baci, le tue carezze, le tue coccole. Mi mancherà poterti baciare, carezzare, coccolare. Mi mancheranno le tue dichiarazioni d’amore e mi mancherà poterti fare le mie. Mi mancherà sapere cosa sarà della tua vita e mi mancherà poterti raccontare l’evoluzione della mia. Mi mancheranno tante cose di te. Mi mancherà tutto di te. Mi mancherai.

Quattro anni racchiusi in una sola parola: addio.

I taxi a Roma: un incubo?

18 Luglio 2007

Il logo della Cooperativa romana di Radiotaxi SamarcandaAeroporto di Fiumicino: atterriamo da Orio col solito ritardo ed il Partner romano mi chiama un taxi “di sua fiducia”. Si tratta, mi spiega, di un’auto della Cooperativa Samarcanda: sono seri, puntuali e soprattutto accettano diversi mezzi di pagamento, comprese carte di credito e di debito. Aspetto qualche minuto la mia auto, in mezzo ad altri taxi, tutti Samarcanda: salgo e spiego all’autista che devo andare al Jolly Hotel Villa Carpegna, in Via Pio IV. Il tassista parte in quarta ed a tutta velocità si precipita verso il quartiere di Primavalle: ad un certo punto si infila in dei vicoletti e mi porta all’Hotel pincopallo, che io gli spiego gentilmente non essere il mio. Riparte in quarta e mi porta all’Hotel tiziocaio, al che io inizio a preoccuparmi ed a mezza voce rinnego la nuova meta, mentre il tassametro corre allegramente. Lui è visibilmente seccato e finalmente prende in mano un vecchio TuttoCittà dicendomi “Ma guarda che nunn è a Primavalle, è a Gregorio Settttimo!”: io prendo atto di questa verità e lo osservo mentre riparte alla caccia di un nuovo Hotel nel nuovo quartiere. Quando arriviamo davanti al mio, il tassametro è nei dintorni dei 40 Euro abbondanti: inutile dire che, all’inizio del tour degli alberghi, eravamo intorno ai 30.

Salgo un attimo in camera a posare i bagagli, riscendo in reception ansioso di godermi una delle città che amo di più al mondo e chiedo agli addetti se possono chiamarmi un taxi col loro sistemino automatico. Pochi secondi ed arriva il tagliandino con la conferma: vado fuori ed aspetto. Arriva un tizio di etnia indefinita e gli chiedo se prende la carta di credito: mi dice di no, ma che “senza problemi” mi porterà ad un Bancomat per prelevare una somma adatta a saldare il conto. Partiamo verso il centro di Roma e dopo un bel po’ siamo a Piazza Venezia: mi fa scendere per prelevare alla BNL dell’angolo, ma lo sportello è così clamorosamente fuori uso che non si apre nemmeno la porta. Lui non ci crede (mah) e riparte verso il ristorante in cui ho l’appuntamento, a poche centinaia di metri. Arrivati là, saluto con la manina i colleghi che mi osservano incuriositi come un pesciolino nell’acquario, mentre il pazzo riparte a tutta velocità verso una meta indefinita. Per fortuna mi accorgo che ad un angolo di strada c’è una filiale Intesa Sanpaolo: prelevo 50 Euro e ricominciamo il giro dell’isolato, per tornare davanti agli increduli commensali.

Finita la cena, con un neo-collega facciamo due passi verso Piazza Venezia: c’è pieno di taxi in fila, così mi rivolgo al primo. L’autista esclude la presenza del POS per la carta di credito e d’altra parte non ho voglia di mollargli tutto i contanti rimasti dal viaggio di andata, da conservare per sicurezza per il viaggio di 12 ore dopo. Chiedo al secondo: stessa scena. Chiedo al terzo: stessa scena. Chiedo al quarto: stessa scena. Chiedo al quinto: stessa scena. Chiedo al sesto: stessa scena. Chiedo al settimo: mi viene detto che la Visa non viene accettata, forse il PagoBancomat. Chiedo all’ottavo: ricomincia la serie senza POS. Chiedo al nono: stessa scena. Avanti così, fino al DODICESIMO: nel frattempo il mio collega torinese è scandalizzato e chiama la “solita” Samarcanda. In pochi minuti il taxi arriva, accompagno a casa il mio amico e poi proseguo per il mio albergo nascosto tra gli alberi: tutto lineare.

Al mattimo, memore dell’esperienza della sera precedente, mi armo di pazienza ed inizio a chiamare ‘sta benedetta cooperativa Samarcanda: mi rispondono la prima volta ma la linea cade da un secondo nonostante chiami da un telefono fisso; riprovo qualche altra volta ed è occupato; all’ennesima volta mi risponde un operatore che mi chiede il nominativo e conosce il Jolly Hotel Villa Carpegna. Mi mette 10 minuti in attesa e poi riprende la chiamata ed apostrofandomi per nome (gulp) mi dice che non ha auto in zona. Rimango interdetto, ma è irremovibile: mi chiude la telefonata e mi lascia a piedi. Mi rassegno a ri-chiedere un taxi ai receptionist: ancora una volta arriva un’auto della compagnia di loro fiducia. Stavolta però l’autista è più serio di quello della sera precedente: quando gli chiedo di pagare con la carta di credito, senza batter ciglio tira fuori ricevuta, carta carbone e lettore a stampo. Non li vedevo da anni ed anni: effettivamente noto che la ricevuta che mi viene consegnata è del 1998, il che è tutto dire…

Il logo della Cooperativa romana di Radiotaxi 3570Ultima tappa in taxi, il viaggio dall’Hotel Hilton Cavalieri a Termini. Chiamiamo ancora una volta Samarcanda, che stavolta non ci dà buca. In mezzo a tante auto di Radiotaxi 3570 (che è la cooperativa di tassisti più grande d’Europa), non riesco a trovare l’albatros di Samarcanda. Aspetto, aspetto, aspetto… Fin quando un vecchietto 3570 richiama la mia attenzione: “Dottò, ma nun è che è llllei la persona che stavo ad aspettà, no?”… Guardo il codice auto ed effettivamente è lui: “Ma io avevo chiamato Samarcanda” dico io, “Hanno mannato me che c’ho er POSSSS” dice lui, lasciandomi comunque con qualche dubbio su questo scambio di servizi tra cooperative. Ultimo viaggio, ulteriori kilometri persi in zona Esquilino – Termini a cercare la traversina sede del mio ultimo appuntamento.

Alla fine, ho speso in taxi più di quanto mi è costato il viaggio in aereo Orio al Serio – Fiumicino, con Alitalia. Ho macinato kilometri e kilometri inutili, ho anticipato spese in contanti senza alcun motivo sensato, ho perso decine di minuti a causa della caparbietà degli autisti nel non voler consultare uno stradario. Non sia mai che installino un GPS come tutti i loro colleghi in giro per il mondo: forse non fa molto macho dimostrare di non conoscere i vicoli della propria città, ma noi clienti non ci formalizziamo troppo. Qualche mese fa ero stato troppo ottimista, nel preferire i tassisti romani a quelli lombardi: rimangio il mio giudizio, visto che a livello di servizio la mediocrità regna sovrana in tutta Italia.

Pensare alla pensione

12 Luglio 2007

Passano i mesi, ma la vita da dipendente continua a sembrarmi strana: dopo anni di indipendenza finanziaria, in particolare, è strano vedere la tua busta paga con tutte le voci di prelievo, la maggior parte delle quali incomprensibili. Cerco di interpretarle grazie all’apposita guida pubblicata sull’Intranet aziendale: ottengo solo la sensazione che c’è “qualcuno” che prende soldi dal mio stipendio per salvaguardarmi dalla mia stupidità. Come a dire: sei giovane ed inesperto, lascia che ti si prenda qualche centinaio di Euro l’anno per poi poterteli restituire quando sarai troppo vecchio per lavorare e non avrai perciò una fonte di reddito autonoma.

Vanno in questo senso i tradizionali contributi, ma al giorno d’oggi anche il TFR: un tempo era una cifra fine a sé stessa, da accumulare lentamente e “godersi” alla fine del rapporto lavorativo; ora è solo un modo di accumulare più contributi a fondo semi-perduto. Anch’io devo prendere la famosa decisione sulla destinazione del mio cumuletto, con un paio di mesi di tempo in più rispetto alla guerra pubblicitaria in concomitanza col rush finale collettivo di giugno. Quando ho iniziato a pensarci, in primavera, ho contattato la mia banca per sentire le loro proposte: non mi hanno nemmeno richiamato; ora sul sito noto che si venderebbero l’anima pur di avere un sottoscrittore in più dei fondi pensione distribuiti.

Tuttavia, ho capito l’antifona statale, quindi non sono sicuro che cederò alle loro lusinghe. Mi sembra chiaro, infatti, che il Legislatore (o la lobby dietro, che è indifferente) abbia deciso di favorire a più non posso i fondi pensione settoriali: se io da bravo metalmeccanico (sigh) aderisco al fondo complementare Cometa, il datore di lavoro è tenuto a contribuire in maniera più ampia rispetto alle altre scelte. Se io non esprimo alcuna scelta, il mio TFR finisce comunque nel fondo di settore. E tutti sono contenti: le imprese (Federmeccanica, Assistal ed Intersind) ed i sindacati (Fim, Fiom, Uilm e Fismic), ma anche un po’ lo Stato, che così evita di dover pensare a troppi soldi nel fondo “speciale” dell’INPS.

Osservando quotidianamente la vita in Banca, confesso che se fossi un dipendente di questo settore penserei in chiave più strategica alle modalità di investimento del TFR; anzi, probabilmente aderirei ai piani di investimento riservati ai dipendenti, decisamente interessanti. A dire il vero, basterebbe che il mio stipendio fosse più rilevante, per rendere la questione attraente; ora, invece, sbadiglio e faccio fatica a considerare seriamente la scelta della destinazione dei miei quattro spiccioli di fine rapporto: chi ha voglia di rimanere metalmeccanico a vita?

Buoni propositi aziendali

1 Luglio 2007

Ci sono voluti un paio di giorni per riprendermi dal famoso evento del 28 giugno di cui avevo ampiamente scritto a causa dei problemi riscontrati nel cercare di proporre una mia idea. Venerdì, infatti, ho dovuto conciliare la stanchezza causata dall’arrivo notturno a Bergamo ed il recupero dei temi lavorativi aperti; sabato, l’ho passato a fare lavatrici e completare l’importazione degli archivi del 2004 di .commEurope. Oggi finalmente posso mettere giù due pensierini rispetto a questa esperienza tutto sommato positiva: non solo per me, ma anche per la Società ed il Gruppo. Cosa di per sé prevedibile, ma che proprio per il clima di euforia sollevato, rende il futuro prossimo abbastanza complesso.

Durante la sessione plenaria di questa sorta di convention de noantri, infatti, il top management del Gruppo ha fatto ampie promesse: un nuovo ambiente di knowledge sharing, uno sbarco in grande stile su Second Life, il rilancio di un concorso per idee innovative. Da notare quest’ultimo punto: l’iniziativa era stata annunciata esattamente un anno fa, nello stesso Auditorium del Lingotto, dalle stesse persone. L’unica differenza è che l’anno scorso qualche top manager sul palco aveva sparato delle cifre, presto ritrattate da qualche suo collega (“10.000 Euro al vincitore!”… “Ahem, poi vedremo se daremo dei soldi”). Quest’anno, almeno, hanno evitato il teatrino, ma hanno promesso di riprovarci.

Speriamo lo facciano, ma che facciano partire anche tutto il resto: un Gruppo che promette e poi non mantiene non crea una bella immagine nei suoi dipendenti. E soprattutto un Gruppo che lancia raffinate piattaforme di condivisione della conoscenza, poi dovrà essere pronto a garantire indipendenza, aggiornamento e cura maniacale di questi spazi sociali prima ancora che tecnologici. Cosa che, fino ad ora, non sempre è successa: speriamo bene per il futuro, visto che la timidissima (e detto da me…) responsabile dei progetti di knowledge sharing è sembrata ben motivata a stupirci con le sue idee.

Riguardo alla giornata trascorsa a Torino, bisogna dire che è stata divertente ed istruttiva: i professional del Gruppo hanno grandi patrimoni di competenze e sono ben disposti nel raccontare ai colleghi gioie e dolori del proprio lavoro. Ottime persone, sia dal punto di vista umano che professionale: è stato un piacere ascoltarli ed un centinaio di loro ha riempito la Sala Madrid per ascoltare me. C’è stata anche qualche domanda a fine presentazione: per fortuna avevo cercato di finire prima il mio speech, così si è riusciti a contenere il tutto nella fatidica mezz’ora. Bravo anche il moderatore, ovviamente, a battere i tempi.

La morale di questa esperienza è che, ancora una volta, ho apprezzato la possibilità di parlare in pubblico, al di là del pubblico di riferimento, attento alle mie quattro bazzecole metodologiche ancor più di quanto le stesse meritassero. Rimane qualche perplessità sulla quasi totale assenza della Società da cui dipendo: a questo punto, per risolvere gli evidenti problemi di comunicazione che questa vicenda ha sollevato, penso sarà opportuno cercare di interagire il più possibile con le iniziative di Capogruppo, sperando che questo non faccia ripartire corti circuiti gerarchici. D’altra parte, se Web 2.0 dev’essere, che lo sia davvero nei fatti, non solo nelle presentazioni.